lunedì 26 ottobre 2009

(Dis)educazione scolastica: telefonini cellulari? Quarto Potere




Parlando con un’amica è emerso un problema scolastico che da sempre esiste ma negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie a portata di mano, si è esteso ed intensificato: i ragazzi che copiano durante i compiti in classe.

Questa ragazza mi ha raccontato che la sua sorellina minore, vedendo che una sua compagna si fa spedire via sms dalla propria madre, insegnante lei stessa, gli esercizi svolti, ha iniziato a credere che sua madre sia cattiva perché non fa la medesima cosa.

Ricordo quando anch’io mi meravigliavo da piccola dei miei compagni con i bigliettini e parlandone a casa mi veniva detto dai miei stessi genitori di farmi furba e imparare dagli altri ragazzi ad usare questi trucchi per fare bella figura; negli anni questa mentalità tra i genitori persiste e si è estesa fino ad arrivare a proteggere il proprio figlio trovando scuse del tipo: “Beh così mi prende i voti alti col minimo sforzo” oppure “Poverino ha così tante cose da fare, nuoto, pallavolo, calcio, che proprio non ha tempo per studiare, bisogna aiutarlo in qualche modo”, e via dicendo.

Il trucco degli insegnanti di ritirare i cellulari ormai è un sogno lontano anni luce considerando il fatto che, i ragazzi, si preparano un minimo di quattro telefonini a testa per essere certi della “copertura”. 

Ricordo che al mio esame di maturità, messi in condizioni di incapacità totale nell’utilizzo di cellulare e del classico passaparola, i ragazzi avevano escogitato il metodo di andare in bagno, mettere dei bigliettini con le soluzioni del test di matematica attaccate dietro al water e andarli a recuperare a rotazione: il problema è che sono stati scoperti da un giovane professore da poco laureato e più sveglio di loro che, avendo notato il via vai (tre persone una dopo l‘altra erano andate al bagno), si è insospettito, è andato a controllare e ha trovato il nascondiglio: c’è stata una lavata di capo per tutti, il presidente della commissione ha fatto qualche minaccia di ritiro compiti ma alla fine tutto è svanito in una bolla di sapone.

Arriviamo all’università, convinti che questo “chiudere un occhio” scompaia perché comunque i professori dovrebbero essere più attenti ed i ragazzi più preparati poiché, teoricamente, più interessanti alle materie, ci giriamo durante un elaborato di italiano e scopriamo che il nostro vicino di banco ha incollato degli interi temi di carattere generale, inerenti gli autori su cui l’esame doveva vertere, scaricati da internet sul proprio vocabolario, e copia di pari passo, per poi prendere pure una votazione bella alta.

Ci ritroviamo così a chiederci se i professori facciano finta di nulla per comodità, pigrizia, insofferenza e, perché no, anche un po’ di menefreghismo per la propria materia d’insegnamento, oppure non se ne accorgano perché talmente candidi da non poter concepire che i ragazzi stiano copiando. Ho alcuni dubbi sulla seconda ipotesi.

Mi chiedo a questo punto se le persone che si laureano, lavorano e applicano ciò che hanno appreso copiando (e, quindi, non conoscono) siano realmente competenti e preparati per l’esercizio della propria mansione e, soprattutto, mi domando perché crediamo ancora che la scuola italiana sia una delle migliori al mondo, constatato che siamo i primi a distruggerne le basi dalle fondamenta. 

Quanto ci vuole a scoprire i furbetti di turno? Sono forse troppi e quindi è meglio lasciar correre la cosa?

martedì 13 ottobre 2009

Vuoto a perdere




Ho appena iniziato a seguire all’università un seminario obbligatorio denominato: Laboratorio Audiovisivo. Ci è stato chiesto di creare un cortometraggio a più voci sul tema della sessualità nella nostra società attuale, in altri termini come questa viene percepita ed elaborata attualmente.

Ognuno di noi studenti è libero di elaborare un’idea, un concept, un soggetto da poter sviluppare assieme ad altri, il mio primo pensiero su questo progetto è stato “Ci scanneremo” perché purtroppo lo spirito di squadra si fa da parte dando largo spazio ad un sistema basato sul tentativo di emergere che poco si accorda con un lavoro di gruppo.

Veniamo, però, alla scelta della tematica: la sessualità.

Mi è capitato tra le mani un libro di Martha C. Nussbaum dove tutto questo viene affrontato alla luce del disgusto e della vergogna sociale applicate alla legge. Leggendolo mi ha trasmesso un’immagine di tutti noi, in questa società, nascosti dietro a delle maschere mentre additiamo un uomo (o una donna che sia) privo di questo nascondiglio, nudo di fronte al nostro cospetto mentre dall’alto del nostro schermo lo giudichiamo colpevole di avere un’intimità. Quell’uomo ci spaventa, quella debolezza apparente che mostra ci sconcerta e ci disgusta.

Ci giudichiamo diversi dagli animali grazie alla nostra razionalità cercando in tutti i modi di cancellare ciò che in realtà fa parte di noi in modo intrinseco ed incancellabile: l’irrazionalità, l’azione, l’atto sessuale. Tentiamo di razionalizzarlo, di concepirlo, di inscriverlo in qualcosa che non è possibile generalizzare o rendere credibile o, persino, accettabile agli occhi degli altri.

Quante volte vi è capitato di pensare o sentire dire: “E’ disgustoso, che schifo” guardando magari un film in cui delle immagini richiamano, ricordano, nascondono al loro interno qualcosa di prettamente sessuale ma non esplicitato? Ci disgusta, inconsciamente, senza renderci conto quanto in realtà sia vicino a noi: è troppo difficile scardinare tutto questo rendendolo umano, o meglio comprendendo che l’essere umano è anche istinto animale?

domenica 11 ottobre 2009

Sanità Patologica

Dicono che la sanità italiana sia la migliore al mondo, proviamo ad enumerarne i meriti. Gli anziani, categoria da noi preponderante ed in crescita saranno il nostro ago della bilancia.

Un nonno finisce in ospedale per qualche attacco o qualcosa di rotto, viene operato e, ovviamente, come tutti sanno per facilitarne la ripresa viene seguito da un fisioterapista interno all’ospedale (per cinque interminabili minuti) finché non viene dimesso.

Se i parenti sono stati svegli e hanno fatto richiesta per l’RSA attraverso l’ospedale appena il nonno è stato ricoverato c’è la possibilità che questi venga spostato in una di queste strutture “random” (perché il malato non può scegliere dove finire), altrimenti viene mandato a casa per direttissima senza alcuna possibilità di proroga.

Queste strutture sono sempre ultra tecnologiche (i campanelli di chiamata sono tutti rotti), pulite (avete il coraggio di usare il bagno? Sempre che ci sia), seguite nei minimi particolari a partire dal personale che amorevolmente cura i pazienti (la maggior parte stranieri che non conoscono l’italiano e, di conseguenza, non sono in grado di avere uno scambio umano con il degente).

Se l’anziano è fortunato ed è capitato in una struttura un tantino più seria viene seguito tre volte a settimana per dieci minuti di orologio da un fisioterapista competente: anche i muri sanno che con così poco tempo dedicato è letteralmente impossibile avere una ripresa, per cui i famigliari (sempre che questo pover’uomo ne abbia) sono obbligati a prendere un fisioterapista a pagamento oppure improvvisarvisi loro stessi tali (personalmente a me è capitata la seconda opzione con due diversi nonni). 

Vogliamo anche parlare della pulizia dedicata alla persona o sono stata abbastanza esplicita per rendere l’idea della mancanza di organizzazione in cui naviga la nostra beneamata sanità? Un esempio sarebbe quante volte al giorno cambiano il pannolino alle persone inferme che navigano (mi dispiace dirlo) nei loro bisogni per ore. Senza contare tutte le malattie che si possono prendere dagli altri pazienti quali broncopolmonite ed infezioni varie lasciate correre liberamente in giro senza controllo.
Calcolando che parlo di situazioni presenti al nord (e già comunque scandalose), possiamo solo immaginare come al sud i degenti vengano seguiti amorevolmente.

Qui in Italia, però, la sanità è la migliore al mondo, vero?

sabato 3 ottobre 2009

Videodrome o la cura Ludovico? No, soltanto profezie pasoliniane su fascismo mediatico e massificazione inconscia




C’è chi è drogato di videogiochi, come la sottoscritta, c’è chi usa le droghe classiche (tentando di fumare persino le bustine del thè o ideandosi  un sistema per creare l’oppio dai semi di quei poveri papaveri inquinati colti dal ciglio della strada), c’è chi è drogato di stress e c’è chi si fa di massificazione. Se devo dire la verità, quello che più mi preoccupa è l’ultimo gruppo citato: “gli uomini senza qualità”.

Senza l’uso passivo e destabilizzante del mezzo televisivo queste persone non riescono a vivere, non riescono a concentrarsi durante lo studio, non possono nemmeno addormentarsi (probabilmente, hanno bisogno di essere cullati dalla voce suadente di Bruno Vespa) e non sono in grado di trovare una soluzione se, per caso, un guasto incorre nel loro bene amato apparecchio per la sopravvivenza.

Non ha importanza il tipo di programma che guardano, è il solo atto di trovarsi davanti al televisore che li fa stare bene, li rilassa, li accompagna dolcemente e gli dà la grandiosa possibilità di poter bloccare completamente il cervello assorbendo passivamente materiale privo di sostanza e disperdendolo subito dopo nell’aria oppure di parlare con gli amici, e quindi di socializzare, attraverso l’uso inconsulto di materiali inconsistenti quali: chi sta con chi e dove, chi sta facendo che cosa, nell’esatto qual modo in cui dovrebbe essere…

Non è esattamente l’atto singolo di una persona che, magari, ha lavorato tutto il giorno, è stanca e ha bisogno di “staccare” un po’ dal tram tram che critico, bensì l’azione reiterata e cercata di un pubblico massificato incapace e desideroso di immergersi nel “fumo televisivo” a cui assisto ogni giorno osservando alcuni gruppi di ragazzi al di là di una teca immaginaria in cui li colloco: loro vivono nell’ospedale psichiatrico mentre io sono il ricercatore che prende appunti, oppure io sono il malato che di nascosto si beve un po’ di “Latte Più corretto mescalina” e loro l’equipe di medici che tenta invano di riportarmi ad una realtà che non voglio tollerare.

Ho bisogno di contenuti, li cerco e li desidero ma solo i libri, e pochissimi eletti, ultimamente sono in grado di trasmettermeli: è una sofferenza pensare che la maggior parte di persone sia ferma, bloccata, congelata in una posizione stallo in cui si culla senza neanche accorgersene. 

La televisione in questo diventa un paradigma di ciò verso cui non voglio andare: l’automatizzazione dell’uomo; ed i libri il superamento di tutto questo. Già Pasolini (e mi dispiace parlare di lui perché ultimamente troppa gente sta distorcendo volontariamente e a proprio uso e consumo le sue teorie estratte dai vari scritti che ci ha lasciato) aveva intuito cosa questo medium era in grado di produrre se utilizzato in modo commerciale a partire dall’utilizzo stesso della lingua italiana, impoverita dal linguaggio televisivo di tutti i suoi orpelli e fioriture: oggi persino i giornalisti non padroneggiano la propria lingua madre (all’estero siamo famosi per la nostra risaputa e completa ignoranza nella lingua inglese; nel caso in cui io mi rivolga ad un italiano medio dicendogli: “how do you do”, mi risponde: “fine, thanks” oppure “sorry, I didn’t catch” e prima ti guarda aggrottando la fronte poi spalanca gli occhi e apre la bocca nel tentativo di formare una sillaba che ti faccia capire che non ha compreso ma poi a sorpresa dice “ah  si, ok, ok” che non c’entra nulla). 

La cosa più sconcertante è leggere un tema di un universitario e scoprire che: non c’è coerenza, i tempi verbali cambiano ad ogni frase oppure mancano del tutto, non esiste punteggiatura (forse si improvvisano dei novelli Joyce), manca completamente la conoscenza della sintassi e della logica italiana e l’ortografia è da decifrare (escludendo tutte le miriadi di errori di scrittura). 

Possiamo dare la colpa agli insegnanti ma tanto, alla fine, è una malattia congenita che sta dilagando nella società del nostro Paese: ne soffrono praticamente tutti e non fanno nulla per uscirne perché non sono interessati a migliorare le proprie basi intellettuali/culturali ma semplicemente a sopravvivere assuefacendosi di materiale televisivo.