“Cosa fai,
stai aspettando che ti mandi in ospedale con qualcosa di grave o che,
con un'innocente spintarella ti faccia battere la testa contro un
angolo? Prova a metterti al mio posto, prova a pensare di essere tu
l'amica che ti ha sentito piangere al telefono chiedendole aiuto, prova a
pensare di essere la tua stessa madre, quanto saresti arrabbiata al
posto suo? E tu torni ancora da lui?”
“Sì lo so ma se lo rifà giuro che lo lascio” le rispondo tristemente
“Lo hai detto anche la prima volta che l'ha fatto e poi ancora, ed
ancora. Per lo meno lascialo per un periodo, obbligalo ad andare da uno
psicologo, a parlargli del problema: è una persona instabile anche solo
per essersi piazzato sul cornicione di una finestra minacciando di
buttarsi tempo fa”
“Non posso pensare di stare senza di lui, magari gli chiedo se può andarci ma non lo posso lasciare”
Non è così
poetico come sembra. Le mie parole addolciscono i fatti: li seguono, li
giudicano, forse, li scandagliano ma in nessun caso riescono a
descrivere il suono di un grido muto prodotto da un sentimento.
Come spiegare la violenza? Come riuscire a ricreare quell'atmosfera di istintività e paura che si respira in quei momenti?
* * *
Una giornata
piacevole, tranquilla, era trascorsa e nella quiete di un attimo le nubi
di una rabbia primordiale si sono destate. Posso sentire dentro di me
quella forza che cova in lui, così distruttiva, così rancorosa: mi
sembra di essere in grado di sentire il sangue scorrere nelle mie vene
come se al suo posto vi si trovasse della caffeina; una strana pressione
si forma sul mio petto come se qualcosa vi ribollisse dentro; la mia
testa, tesa, vuota, e consapevole di ciò che sta per fare: mi ordina di
scagliarmi contro quella persona incapace di comprendere i miei
sentimenti e che supinamente accetta le mie parole. Quello sguardo
innocente mi dà il voltastomaco: mi sta prendendo in giro, ne ho la
certezza, si prende gioco di me, ride alle mie spalle quella fottuta
strega!
Tutte queste
sensazioni si rimescolano dentro di me: posso palparle e ne ho paura.
Tremo al solo pensiero che lui reagisca ad esse. I miei muscoli si
tendono all'inverosimile ed il mio respiro si blocca nell'esatto istante
in cui lui, seduto di fronte a me, si alza.
Gli avevo
appena risposto male, noncurante, scioccamente non ci avevo pensato:
“Non rompere, dai, lasciami usare il computer in pace, non c'ho voglia
di starti a sentire”.
Stupida
ragazzina che non dà peso alle parole che pronuncia: avrei dovuto
saperlo, dovevo immaginarlo che si sarebbe arrabbiato ma quelle singole
sillabe sono uscite dalla mia bocca senza che io potessi fermarle.
Sciocca noncuranza.
Urla, mi
chiama puttana, è arrabbiato. Lo sapevo. La sua voce sembra ovattata,
non riesco a seguire ciò che sta dicendo, sento ogni cellula del mio
corpo tremare, sono paralizzata.
Afferra il mio braccio ed inizia a storcerlo, sempre più forte. Sto
urlando anch'io ora? Sento un altro dolore alla schiena. Cosa sta
facendo? Non riesco a capire cosa succede. Le sue mani mi afferrano e mi
stritolano, ingiuriano la mia pelle. Odo la mia voce stridula che
piagnucola per il dolore, le lacrime scendono dal mio volto ma non sento
dolore: è la mia testa, è tutto concentrato lì. Non esisto più, non
sento nulla: è come vedermi dall'esterno senza comprendere pienamente
ciò che sta accadendo, cercando di divincolarmi dalle sue morse per
istinto e per paura sperando che, ad un certo punto, si calmi: cosa che,
effettivamente, non so come, non so perché ma accade. Mi spinge verso
la porta d'uscita e mi chiude fuori.
Si è fermato,
finalmente. Posso ricominciare a respirare, riesco a sentire le mie
lacrime scorrere e la mia testa pulsare, il suo cuore battere ad un
ritmo meno sostenuto.
Telefono ad un'amica, in lacrime:
“Cosa succede? Stai bene?” risponde lei allarmata.
“L'ha rifatto, mi ha picchiata di nuovo, non so cosa fare, mi ha chiusa
fuori, sono le quattro del mattino non so dove andare, sono senza
soldi” parlo veloce quasi senza una pausa.
“Denuncialo, vai alla polizia” poi aggiunge: “Puoi restare da me, comunque”
“Non posso denunciarlo” mi lamento, poi, sento la voce di lui che mi
chiama scusandosi “Cosa posso fare, dimmi cosa devo fare? Non so cosa
fare, aiutami, lui è qui, vuole riportarmi a casa”
“No, no e no tu ora vieni da me immediatamente, per favore non fare
cazzate e mollalo all'istante” è preoccupata per me, si sente dalla
voce, è nervosa: non sa cos'è esattamente successo, non sa che è stata
colpa mia se lui ha reagito in quel modo. La mia amica sicuramente sente
la voce di lui pregarmi di tornare, forse pensa sia come il miagolio di
un gatto che pretende del cibo ma non è così, è pentito realmente per
ciò che ha fatto.
“L'hai fatto di nuovo. Mi avevi promesso. Avevi detto che non l'avresti più fatto, mai più”
“Scusami amore, non volevo. Lo sai: a volte si perde il controllo e si
dicono e si fanno cose che non si vorrebbe. Perdonami. Non lasciarmi.
Non posso vivere senza di te”
“Ora me ne vado”
“No, non andartene, non andartene. Se lo fai morirò, mi ucciderò, non farlo, ti scongiuro”
Non c'è più
pericolo, lui è calmo: posso stare tranquilla, è finito tutto. Posso
tornare a casa da lui, giusto per stanotte, giusto per evitare che
faccia qualche sciocchezza come buttarsi sotto un treno.
È pentito, ne
sono certa più che mai. Mi guarda con quegli occhi disperati, ha
bisogno di me: non posso abbandonarlo, devo aiutarlo. Non mi picchierà
più, l'ha promesso, ha capito che se lo rifarà mi perderà. La prossima
volta lo lascerò... la prossima volta... lo amo troppo, non posso
pensare a rimanere senza di lui.
Non è successo niente, non riaccadrà più.
* * *
Prova a
metterti al mio posto, prova a pensare di essere tu l'amica che ti ha
sentito piangere al telefono chiedendole aiuto, prova a pensare di
essere la tua stessa madre, quanto saresti arrabbiata al posto suo?
Quanto saresti arrabbiata al mio posto? Sto cercando ti capire e
comprendere cosa ti passi per la testa: una parte di me sa che tu
dipendi da lui.
Sono
quell'amica che ha tentato di mettersi al tuo posto, sono quella persona
che chiami quando hai bisogno, sono quella ragazza di cui non ascolti i
consigli. Sono quella che perderai quando ti vedrà tornare da lui
poiché il disgusto per quell'uomo e la preoccupazione per la tua
incolumità lasceranno spazio alla consapevolezza che tu vuoi sia così,
che a te piace essere picchiata perché sei la prima a non credere in se
stessa.