domenica 10 aprile 2011

sabato 9 aprile 2011

"Violence" - un racconto breve


“Cosa fai, stai aspettando che ti mandi in ospedale con qualcosa di grave o che, con un'innocente spintarella ti faccia battere la testa contro un angolo? Prova a metterti al mio posto, prova a pensare di essere tu l'amica che ti ha sentito piangere al telefono chiedendole aiuto, prova a pensare di essere la tua stessa madre, quanto saresti arrabbiata al posto suo? E tu torni ancora da lui?”
 
“Sì lo so ma se lo rifà giuro che lo lascio” le rispondo tristemente
 
“Lo hai detto anche la prima volta che l'ha fatto e poi ancora, ed ancora. Per lo meno lascialo per un periodo, obbligalo ad andare da uno psicologo, a parlargli del problema: è una persona instabile anche solo per essersi piazzato sul cornicione di una finestra minacciando di buttarsi tempo fa”
 
“Non posso pensare di stare senza di lui, magari gli chiedo se può andarci ma non lo posso lasciare”

Non è così poetico come sembra. Le mie parole addolciscono i fatti: li seguono, li giudicano, forse, li scandagliano ma in nessun caso riescono a descrivere il suono di un grido muto prodotto da un sentimento.

Come spiegare la violenza? Come riuscire a ricreare quell'atmosfera di istintività e paura che si respira in quei momenti?

*  *  *

Una giornata piacevole, tranquilla, era trascorsa e nella quiete di un attimo le nubi di una rabbia primordiale si sono destate. Posso sentire dentro di me quella forza che cova in lui, così distruttiva, così rancorosa: mi sembra di essere in grado di sentire il sangue scorrere nelle mie vene come se al suo posto vi si trovasse della caffeina; una strana pressione si forma sul mio petto come se qualcosa vi ribollisse dentro; la mia testa, tesa, vuota, e consapevole di ciò che sta per fare: mi ordina di scagliarmi contro quella persona incapace di comprendere i miei sentimenti e che supinamente accetta le mie parole. Quello sguardo innocente mi dà il voltastomaco: mi sta prendendo in giro, ne ho la certezza, si prende gioco di me, ride alle mie spalle quella fottuta strega!

Tutte queste sensazioni si rimescolano dentro di me: posso palparle e ne ho paura. Tremo al solo pensiero che lui reagisca ad esse. I miei muscoli si tendono all'inverosimile ed il mio respiro si blocca nell'esatto istante in cui lui, seduto di fronte a me, si alza.

Gli avevo appena risposto male, noncurante, scioccamente non ci avevo pensato: “Non rompere, dai, lasciami usare il computer in pace, non c'ho voglia di starti a sentire”.

Stupida ragazzina che non dà peso alle parole che pronuncia: avrei dovuto saperlo, dovevo immaginarlo che si sarebbe arrabbiato ma quelle singole sillabe sono uscite dalla mia bocca senza che io potessi fermarle. Sciocca noncuranza.

Urla, mi chiama puttana, è arrabbiato. Lo sapevo. La sua voce sembra ovattata, non riesco a seguire ciò che sta dicendo, sento ogni cellula del mio corpo tremare, sono paralizzata.
Afferra il mio braccio ed inizia a storcerlo, sempre più forte. Sto urlando anch'io ora? Sento un altro dolore alla schiena. Cosa sta facendo? Non riesco a capire cosa succede. Le sue mani mi afferrano e mi stritolano, ingiuriano la mia pelle. Odo la mia voce stridula che piagnucola per il dolore, le lacrime scendono dal mio volto ma non sento dolore: è la mia testa, è tutto concentrato lì. Non esisto più, non sento nulla: è come vedermi dall'esterno senza comprendere pienamente ciò che sta accadendo, cercando di divincolarmi dalle sue morse per istinto e per paura sperando che, ad un certo punto, si calmi: cosa che, effettivamente, non so come, non so perché ma accade. Mi spinge verso la porta d'uscita e mi chiude fuori.

Si è fermato, finalmente. Posso ricominciare a respirare, riesco a sentire le mie lacrime scorrere e la mia testa pulsare, il suo cuore battere ad un ritmo meno sostenuto.

Telefono ad un'amica, in lacrime:
“Cosa succede? Stai bene?” risponde lei allarmata.
“L'ha rifatto, mi ha picchiata di nuovo, non so cosa fare, mi ha chiusa fuori, sono le quattro del mattino non so dove andare, sono senza soldi” parlo veloce quasi senza una pausa.
“Denuncialo, vai alla polizia” poi aggiunge: “Puoi restare da me, comunque”
“Non posso denunciarlo” mi lamento, poi, sento la voce di lui che mi chiama scusandosi “Cosa posso fare, dimmi cosa devo fare? Non so cosa fare, aiutami, lui è qui, vuole riportarmi a casa”
“No, no e no tu ora vieni da me immediatamente, per favore non fare cazzate e mollalo all'istante” è preoccupata per me, si sente dalla voce, è nervosa: non sa cos'è esattamente successo, non sa che è stata colpa mia se lui ha reagito in quel modo. La mia amica sicuramente sente la voce di lui pregarmi di tornare, forse pensa sia come il miagolio di un gatto che pretende del cibo ma non è così, è pentito realmente per ciò che ha fatto.

“L'hai fatto di nuovo. Mi avevi promesso. Avevi detto che non l'avresti più fatto, mai più”
“Scusami amore, non volevo. Lo sai: a volte si perde il controllo e si dicono e si fanno cose che non si vorrebbe. Perdonami. Non lasciarmi. Non posso vivere senza di te”
“Ora me ne vado”
“No, non andartene, non andartene. Se lo fai morirò, mi ucciderò, non farlo, ti scongiuro”

Non c'è più pericolo, lui è calmo: posso stare tranquilla, è finito tutto. Posso tornare a casa da lui, giusto per stanotte, giusto per evitare che faccia qualche sciocchezza come buttarsi sotto un treno.

È pentito, ne sono certa più che mai. Mi guarda con quegli occhi disperati, ha bisogno di me: non posso abbandonarlo, devo aiutarlo. Non mi picchierà più, l'ha promesso, ha capito che se lo rifarà mi perderà. La prossima volta lo lascerò... la prossima volta... lo amo troppo, non posso pensare a rimanere senza di lui.

Non è successo niente, non riaccadrà più.

*  *  *

Prova a metterti al mio posto, prova a pensare di essere tu l'amica che ti ha sentito piangere al telefono chiedendole aiuto, prova a pensare di essere la tua stessa madre, quanto saresti arrabbiata al posto suo? 
Quanto saresti arrabbiata al mio posto? Sto cercando ti capire e comprendere cosa ti passi per la testa: una parte di me sa che tu dipendi da lui.

Sono quell'amica che ha tentato di mettersi al tuo posto, sono quella persona che chiami quando hai bisogno, sono quella ragazza di cui non ascolti i consigli. Sono quella che perderai quando ti vedrà tornare da lui poiché il disgusto per quell'uomo e la preoccupazione per la tua incolumità lasceranno spazio alla consapevolezza che tu vuoi sia così, che a te piace essere picchiata perché sei la prima a non credere in se stessa.