lunedì 8 agosto 2011

Monte Hellman ed Esistenzialismo a confronto


Tesina redatta per l'esame di Storia del cinema Nordamericano tenuto dal professor Michele Fadda Università degli studi di Bologna


Il soggetto di tale ricerca, Monte Hellman, era obbligatorio mentre la scelta dell'argomento da trattare risultava a descrizione dello studente.
L'idea di mettere a confronto il regista cinematografico con la corrente esistenzialistica è stata tratta dall'articolo "Americano, straniero... il caso Monte Hellman" di Michele Fadda pubblicata nella raccolta a cura dello stesso American stranger, il cinema di Monte Hellman, ed. Cineteca Bologna, 2009.


Introduzione
 
A prima vista i film girati da Monte Hellman possono trasmettere una sensazione di vuoto ed apatia: i finali tendono ad essere sospesi, a sgretolarsi come, per esempio, la scena della pellicola che brucia nel finale di Two-Lane Blacktop dissolvendo l'intera immagine.
Esistenzialismo è stata una parola più volte usata dai critici per descrivere il cinema di questo regista in seguito, anche, ad un'intervista in cui egli dichiara di essere legato sentimentalmente a scrittori direttamente collegati a tale corrente filosofica, come Sartre e Camus,
 
I think maybe in some interview years before, I said that Albert Camus and Jean-Paul Sartre were at least philosophical influences. I think the first existential movie I'm going to make is the next one, because it's really existential in the classic sense of the meaning of the philosophical term. I think the others are maybe existential in the way that any movie is existential. Any story of a group of characters who have to make decisions can be classified as existential, but I don't think the decisions in those particular movies are necessarily conforming to Sartre's philosophy.1
 
Camus è considerato un autore legato all'esistenzialismo, ma non per questo un filosofo, mentre Sartre, sebbene inscritto in tale cerchia, riesce a incarnare i propri pensieri filosofici all'interno di alcuni suoi romanzi. Scrittori, quindi, piuttosto che puri pensatori fanno parte degli interessi di Hellman: un esistenzialismo fatto di ricerca della materia “uomo”, per ciò che concerne la vita dell'essere umano, per la quotidianità dei gesti e il viaggio che egli sceglie di percorrere si trovano, probabilmente, alla base delle scelte registiche di questo autore cinematografico.
Monte Hellman prima di divenire regista cinematografico per un periodo della sua vita si è dedicato al teatro. Una delle opere che, in questo periodo, ha trattato e a cui si è legato particolarmente è Aspettando Godot di Beckett:
 
[...] Una grande opera teatrale, forse la più grande del Ventesimo secolo. Tratta problemi profondi senza risolverli, quelli della vita e della morte, della condizione umana. È un'opera che mi commuove e mi appassiona, e l'unica, tra quelle a cui ho lavorato,che ispiri sempre nuove idee.2
 
In un certo senso queste parole potrebbero venire direttamente applicate ai suoi stessi film; ciò che mostra Hellman nel suo cinema, infatti, è privo di risoluzione, sospeso assieme alla resa dei finali: l'unica certezza è che il tempo continui a scorrere e che ciò che abbiamo visto continui a scorrere nella nostra mente dopo essere bruciato davanti ai nostri occhi.
 
 
Two-Lane Blacktop
 
Aspettando Godot di Beckett, infatti, ha una trama minimale in cui i dialoghi risultano apparentemente senza senso: due personaggi che attendono, appunto, l'arrivo di Godot il quale non si presenterà mai. Il senso dell'esistenza si perde poiché Godot diviene l'incarnazione di un Dio che non esiste ma che, allo stesso tempo, si attende: una meta che si perde attraverso lo scorrere delle lancette del tempo come accade in Two-Lane Blacktop.
In questo caso, però, il protagonista non è più una divinità assente oppure l'attesa di questa ma,piuttosto, la perdita di un senso di ricerca: i personaggi si prefiggono una meta, una sorta di gara (chi raggiungerà con la propria auto, per primo, Washington vincerà il mezzo di trasporto dell'altro) ma essa si dilegua nel continuum della trama, sfumando e lasciandosi dimenticare dagli stessi. Non c'è lotta ma solo rassegnazione. Un film dedicato alla vita interiore piuttosto che a quella esteriore3 che, però, la vela attraverso i silenzi o le parole logorroiche del personaggio interpretato da Warren Oates. I discorsi che si dipanano lungo l'opera sembrano conversazioni quotidiane: le stesse che chiunque passi il tempo a viaggiare in auto potrebbe fare.

Il guidatore (James Taylor) e ilmeccanico (Dennis Wilson) viaggiano insieme, entrambi di poche parole e concentrati sui motori, unica tipologia di discorso su cui convergono, sono dei personaggi semplici e silenziosi che seguono la strada davanti a loro, accettano supini ogni tipo di deviazione per poi risalire in macchina di nuovo assieme.
Mentre aspettano in un'area di servizio, guidatore e ragazza (Laurie Bird) hanno un veloce scambio di opinioni che richiama un'idea sul senso della vita ed allo stesso tempo una mancanza di certezza nell'ammissione che la condizione umana sia migliore di quella degli insetti.
 
Guidatore: “Hai visto quanti insetti?”
Ragazza: “Sì”
Guidatore: “Ci hai mai pensato, tu, a quanto sono curiosi? Escono dalla terra solo ogni sette anni; e sai cosa vengono a fare ogni sette anni fuori dalla terra? A cambiar pelle, a metter su delle ali per volare in giro solo mezza giornata e per crepare; ma prima però riescono a deporre un bel po' di uova, è così?” La ragazza non aspetta che continui il discorso ed esordisce:
Ragazza: “Noi uomini ce la caviamo meglio, no?” passano alcuni secondi e poi aggiunge: “Anche senza le ali”
Guidatore: “Si, anche senza le ali” dice senza troppa convinzione ed infine, egli, aggiunge che è ora di andare.
 
La ragazza è l'unica persona che si ribella a questo tipo di visione: ne sfugge, in un certo senso, il momento in cui deciderà di cambiare “tassista”.
La giovane entra nell'auto dei due e, quindi, nella loro vita, in punta di piedi senza nemmeno sapere dove i ragazzi siano diretti ma a lei “va bene, non c'è mai stata all'est”. Ad un certo punto sparisce, in compagnia di gto, il guidatore decide di seguirli per convincerla ad andare con lui ma il momento in cui si rende conto che, oramai, l'ha persa a causa della decisione della ragazza di cambiare strada ed andarsene, assieme ad un motociclista, lui non la ferma in accordo con l'idea di Monte Hellman per la quale:
 
Quando l'amore finisce non c'è rabbia, c'è indifferenza. È quando non ci sono emozioni che non c'è più speranza. Altrimenti non è ancora finita...4
 
Lo stesso film, di conseguenza, non potrebbe avere una fine nel caso in cui il personaggio di James Taylor decidesse di inseguire la ragazza, considerando il fatto che lo stesso regista individua tra le tematiche principali del proprio film l'amore.
Quando lei decide di andarsene il guidatore, sebbene innamorato di lei, non fa nulla per fermarla.
I personaggi di Monte Hellman si lasciano trascinare da un destino, dalle situazioni, che non sono in grado di controllare ed allo stesso tempo non sono interessati a cambiare. Divengono protagonisti degli eventi che li circondano facendosi toccare da questi e seguendone il flusso, incapaci di ribellarsi. È esattamente questo l'abisso, e allo stesso tempo la connessione, che intercorre tra le opere di questo regista e gli autori esistenzialisti citati inizialmente.

L'Esistenzialismo, infatti, sebbene si concentri sull'inutilità e sull'impossibilità dell'uomo ad affrontare gli eventi, poiché in balia del fato, va in cerca di una soluzione che redima la passività di questo tipo di esistenza. Hellman sebbene sembri condividere l'idea fondamentale di questa corrente filosofica sembra non interessato alla fuga da tale tipo di passività poc'anzi citato.
Sartre, per esempio, concepisce l'essere umano come in balia degli eventi ma allo stesso tempo bisognoso di combattere contro di essi, avere una qualsiasi reazione, provare dei sentimenti, anche violenti, dimostrandoli ed affrontandoli: è questo che rende gli uomini umani.
 
Tragici, erano; no, nemmeno: storici; nemmeno, siamo istrioni, non valiamo una lacrima; predestinati: no, il mondo è un caso. Ridevano, si appoggiavano ai muri dell'Assurdo e del Destino, che li ributtavano indietro. Ridevano per punirsi, per purificarsi, per vendicarsi: inumani e troppo umani, di là e di qua della disperazione: uomini.5
 
Una triste ironia si respira leggendo le pagine sartriane de “Il Muro”. Il finale del primo racconto deride beffardamente il protagonista che, proprio grazie al destino, sicuro d'esser condannato a morte certa ne viene, invece, risparmiato: interrogato su dove possa trovarsi il suo amico, ricercato, risponde che egli si trova nel cimitero ed aggiunge:
 
Era per far loro uno scherzo. Volevo vederli alzarsi, affibbiarsi i cinturoni e mettersi a dare ordini con aria affaccendata […] Di tanto in tanto sorridevo perché pensavo alla faccia che avrebbero fatta. […] Tutto ciò era di una comicità irresistibile.6
 
Questa menzogna, però, si rivela reale: l'uomo che la polizia vuole incastrare si trova realmente nascosto nel cimitero e il protagonista viene, così, graziato.
Un'azione che, quindi, non viene sospesa: le opere di Sartre vogliono dimostrare la nostra umanità e la condanna a cui ci predestina l'«Assurdità» della vita reale. Monte Hellman, invece, preferisce osservare il quotidiano.
Il regista, infatti, predilige osservare i piccoli gesti quotidiani nella loro essenza; parlando durante un'intervista del proprio lavoro in quanto opera altamente realista ed allo stesso tempo astratta il regista, mettendo a confronto la propria esperienza teatrale con quella cinematografica, sottolinea:
 
[...]Quando diressi La voce della tortora avevamo un salone, una camera ed una cucina. Era divertente far scorrere l'acqua dei rubinetti, alimentare la stufa a legna e friggere le uova sul palcoscenico. A teatro è più insolito che al cinema, soprattutto oggi, dato che si gira molto in luoghi reali. Ma è vero che mi piacciono i dettagli insignificanti della vita quotidiana. Mi piacciono le scene in cui la gente mangia o si lava [...]7.
 
Questa idea di esaltazione e focalizzazione dei gesti quotidiani ricorda molto un regista italiano legato al Neorealismo e che, a sua volta, prima di dedicarsi al cinema aveva lavorato per il teatro, Luchino Visconti che, guarda caso, condivide con Hellman anche l'interesse per lo scrittore russo Anton Cechov. Nella raccolta di scritti di Gerardo Guerrieri, ex collaboratore di Visconti, infatti si trovano vari appunti in cui viene sottolineato l'interesse, quasi morboso, che il regista italiano provava nei confronti della resa realistica delle scene:
 
Realismo come allucinazione […] Ogni cosa talmente verosimile che sembri vera, ma che nello stesso tempo si possa credere in essa come ad un'apparizione, come un ectoplasma, una seconda vista, oltre le cose sensibili, quella vista che afferra le essenze.8
 
Queste poche righe, sebbene scritte da Visconti riguardo la propria poetica, riescono allo stesso tempo a rendere l'idea di ciò che anche i film di Monte Hellman trasmettono allo spettatore: entrambi, infatti, spingono la propria opera verso un eccedente realismo tale da renderlo inverosimile, astratto. La differenza tra i due autori, però, si ricollega a ciò che è stato detto precedentemente anche nei confronti degli esistenzialisti: i personaggi del regista italiano cercano di combattere contro gli eventi sebbene il loro destino sia segnato, mostrano la propria rabbia e disperazione, mentre per quanto riguarda i caratteri che il regista americano mette in scena non c'è interesse nella ribellione.

Tutto questo, in Monte Hellman, viene sottolineato non solo dalla ripresa di gesti quotidiani ma anche da un altro procedimento legato all'uso dei dialoghi e del montaggio:

 
Mi piacciono i dialoghi funzionali e le storie raccontate il più possibile al di fuori dei dialoghi. E in Strada a doppia corsia la storia è raccontata ancor meno attraverso le parole di quanto non accadesse nei western. In quel film il dialogo è davvero quotidiano e non ha granché a che fare con la trama stessa.9


 
The Shooting e Ride in the Whirlwind
Probabilmente è lo stesso soggetto di Two-Lane Blacktop ed il luogo in cui si svolgono i fatti, la strada, ad aiutare la rarefazione dei dialoghi indirizzandoli verso un'alienazione nei confronti della trama: per quanto riguarda i western, infatti, si rivelerebbe maggiormente difficile giustificare l'inizio di un'azione o comunque l'interazione tra i personaggi escludendo completamente la possibilità di raccontare alcune parti delle storie. Allo stesso tempo il montaggio e la scelta stessa dei luoghi di ripresa vanno a sommarsi con l'idea, già precedentemente accennata riguardo i dialoghi, di un ciclico ritorno del medesimo.

Prendendo, per esempio, The Shooting non era possibile iniziare il viaggio e la “caccia all'uomo” escludendo completamente le spiegazioni incomplete della straniera, che spiegano ciò che è accaduto nelle scene precedenti, riguardo alla motivazione per cui si trova in quel posto senza il suo cavallo. Il film trasmette allo spettatore la stessa idea di progressione statica (o un ossimoro), un congelamento del tempo nella gratuità dei dialoghi presenti che ostacolano la tensione narrativa.

In aggiunta all'inibizione della diegesi narrativa, per esempio, nel film appena citato i personaggi indugiano in conversazioni disquisendo sulla semantica dei nomi propri, quasi spersonalizzati, privi di una propria identità poiché privati del proprio nome. Questa caratteristica si ritrova lungo tutta la filmografia di Monte Hellman in cui sono offerte allo spettatore “presenze” e non personaggi, come se la storia si sviluppasse su un proprio binario senza l'intervento attivodell'attore. È una contingenza fine a se stessa che fa percepire l'insostanzialità delle vicende.

Un'altra peculiarità dello stile registico di Hellman è quella di alternare primi e primissimi piani che ricordano le scene chiave del western insieme a riprese di mezzo busto, piani sequenza tagliati obliquamente, durante i quali la parola sfuma, spesso è ripreso il volto di chi ascolta e non di chi parla, come se la comunicazione risultasse aleatoria, non significativa:

 
Lo stesso montaggio lento, aritmico asciutto, concorre a determinare una continua dispersione di senso […]. Non c'è racconto che di un vano vagabondare, secondo la logica di un “falso movimento”.10
 
È un esempio di ciò in The Shooting la scena girata accanto al fiume in cui i personaggi perdono le tracce che stanno seguendo e sembrano voler intraprendere piste diverse; i dialoghi sono occasionali, quasi fuori contesto e i movimenti dei personaggi sembrano essere decisi più dai cavalli che dalla loro volontà.

Talvolta, il regista sembra affacciarsi concettualmente sulla negazione dello Strutturalismo: al posto di patterns e codici topici si ritrova una casualità disarmante.

Sembrerebbe emergere una riflessione opposta a quella di Umberto Eco quando commenta l'opera di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore; Calvino ci consegna un'opera aperta, in cui l'interpretazione dello spettatore integra ciò che manca, colma le lacune e la mancanza degli sviluppi narrativi. Nel cinema di Hellman sembra mancare la complicità e la collaborazione con lo spettatore, lasciando vacante la responsabilità dell'analisi dei segni poiché il film procede per sovrapposizioni di strati non interconnessi ma quasi dominati da aporie logiche.

Rispetto a Peckinpah e ai suoi western portati al parossismo di violenza e ad artifici tecnici che ne esaltano la tensione narrativa, The Shooting, per esempio, non propone una riflessione profonda sull'uomo e neppure sul significato delle proprie azioni, ma decontrae le scene fino a parodiare, involontariamente, uno dei simboli del cinema western, ovvero l'uso delle armi. In una scena del film di Hellman la protagonista femminile (Millie Perckins) inizia a sparare istericamente con la pistola, senza un motivo particolare, ma arrabbiata con un compagno di viaggio; come se niente fosse ella svuota il caricatore ignara delle conseguenze.
Nel film Ride in the Whirlwind (intorno alla mezz'ora) avviene una sparatoria, molto lunga nel tempo, piuttosto dilatata nella tensione e nel ritmo. Questo è un esempio dello stile dell'autore che privilegia azioni non sincopate ma rarefatte, piuttosto lente e, di conseguenza, ripetitive. I personaggi, anche nelle espressioni e nelle gestualità non sembrano preoccupati ma nemmeno risoluti e determinati, inframmezzando battute decisamente superflue durante lo svolgimento di questa scena d'azione. Se messo a confronto con altri film di Peckinpah quali Straw Dogs e Pat Garret and Billy the Kid lo stile di Hellman risulta sapido sia di approfondimento psicologico sia di stimoli allo spettatore, il quale assiste ma non viene sedotto dalla drammaticità delle immagini. In Ride in the Whirlwind le fughe e gli inseguimenti risultano spesso inconcludenti, quasi a simulare l'iterazione di frammenti scomposti, che ciclicamente ritornano al disordine di partenza. In Peckinpah, Pat Garret quasi si identifica nell'alter ego del nemico, incanalando la strategia e la tattica di Billy the Kid, in una reciprocità di scelte risolute che contrappongono l'esistenza dei due protagonisti. Anche il senso di sacrificio de The Wild Bunch, in un parossismo di climax di abnegazione e spirito di squadra, contrasta nettamente con la disarticolazione e il vuoto di significato delle scelte dei protagonisti di Hellman, che strisciano, si celano nei cespugli, si abbarbicano dietro le rocce, sudano e compiono azioni ossessive ma mai eroiche.

Si può dire che nel cinema di Hellman manchi sia il lirismo sia la capacità emotiva di raggiungere uno Spannung.
È vero che, apparentemente, la filmografia di Hellman sembra riassumere in sé alcune tematiche tipicamente esistenzialiste come l'incomunicabilità, l'isolamento emotivo dell'uomo, il senso di inadeguatezza nella vita, l'inautenticità di ogni azione, ma questi concetti non vengono mai sviluppati o chiariti in fasi successive; è un cinema che abbozza l'Esistenzialismo, lo evoca ma non lo trasmette allo spettatore. Così si possono intravedere Beckett, Sartre, Camus, etc. ma solo come suggestioni non infra-testuali e nemmeno metafilmiche, ma piuttosto sottintese nella mente di uno spettatore colto che intenda nobilitare questi film con contenuti più ampi.
 
La fuga porta in un dovunque sempre uguale a se stesso […] senza poter controllare gli avvenimenti che lo coinvolgono, ignorando i nessi che li organizzano in una circolarità senza senso apparente. Caduta ogni giustificazione teologica (ideologica, morale, religiosa) non rimane che l'attonita contemplazione dei fatti.11
 
Nei due finali di The Shooting e Ride in the Whirlwind vi sono, infatti, due conclusioni che non si possono considerare né una vera e propria chiusura, né una svolta, in quanto il suicidio in nel primo e la fuga nelle colline nel secondo non costituiscono l'esito di una progressione narrativa dotata di un senso, ma sembrano continuare e protrarre il gioco del nonsense, l'infinita fuga e una morte quasi scaturita dalla contingenza piuttosto che da una necessità profonda. È l'uomo che cede alla propria angoscia o sfugge a se stesso e al conflitto; ma non vi è un vero e proprio antieroe, poiché non c'è nessuna opposizione a valori persistenti, ma una deriva.
Il cinema di Monte Hellman, quindi, seppure complesso e variegato, non propone tematiche definite ed approfondite in modo coerente, ma lascia allo spettatore la scelta di interpretarlo in modo sempre differente. Penso, personalmente, che sia come tecnica registica, sia come concettualità esso, a volte, risulti poco coerente e ripetitivo, distaccandosi dalla profonda riflessione dell'Esistenzialismo, più determinato ad evocare un'interiorità umana con le sue particolarità.



 
1Intervista “Monte Hellman – Two-Lane revisited” di Keith Phipps, 10 novembre 1999
http://www.avclub.com/articles/monte-hellman,13630/
2Intervista “Non sottolineare l'evidenza” di Michael Ciment pubblicata nella raccolta a cura di Michele Fadda “American Stranger, il cinema di Monte Hellman” ed. Cineteca Bologna, 2009
3“I think Two-Lane Blacktop is neither. It's a film about inner life rather than outer life. But it's not a film about other films; it's not a pastiche”. Intervista “Monte Hellman on Corman and Cockfighter” di Nicholas Pasquariello http://www.ejumpcut.org/archive/onlinessays/JC10-11folder/MonteHIntPasquarillo.html
4Intervista “Hellman Rider” di Romuald Karmakar e Ulrich von Berg, traduzione di Davide Ferrario, 22 novembre 1988
5Tratto da “La morte nell'anima” di Jean-Paul Sartre, ed. Oscar Mondadori, Classici Moderni (2003), p. 78
6Tratto da “Il Muro” di Jean-Paul Sartre, ed. Einaudi Tascabili (2003), p. 29
7Intervista “Non sottolineare l'evidenza” di Michael Ciment pubblicata nella raccolta a cura di Michele Fadda “American Stranger, il cinema di Monte Hellman” ed. Cineteca Bologna, 2009
8Tratto da “Il teatro di Visconti, scritti di Gerardo Guerrieri” a cura di Stefano Geraci, ed. Officina, anno 2006
9Intervista “Non sottolineare l'evidenza” di Michael Ciment pubblicata nella raccolta a cura di Michele Fadda “American Stranger, il cinema di Monte Hellman” ed. Cineteca Bologna, 2009
10Articolo “Two-Lane Blacktop: un roadmovie funereo” di Fausto Galosi, in “Cinema e Cinema” n. 21, ottobre-dicembre 1979
11Articolo “I western gemelli” di Paolo Vecchi, in “Cineforum” n. 178, ottobre 1978

domenica 10 aprile 2011

sabato 9 aprile 2011

"Violence" - un racconto breve


“Cosa fai, stai aspettando che ti mandi in ospedale con qualcosa di grave o che, con un'innocente spintarella ti faccia battere la testa contro un angolo? Prova a metterti al mio posto, prova a pensare di essere tu l'amica che ti ha sentito piangere al telefono chiedendole aiuto, prova a pensare di essere la tua stessa madre, quanto saresti arrabbiata al posto suo? E tu torni ancora da lui?”
 
“Sì lo so ma se lo rifà giuro che lo lascio” le rispondo tristemente
 
“Lo hai detto anche la prima volta che l'ha fatto e poi ancora, ed ancora. Per lo meno lascialo per un periodo, obbligalo ad andare da uno psicologo, a parlargli del problema: è una persona instabile anche solo per essersi piazzato sul cornicione di una finestra minacciando di buttarsi tempo fa”
 
“Non posso pensare di stare senza di lui, magari gli chiedo se può andarci ma non lo posso lasciare”

Non è così poetico come sembra. Le mie parole addolciscono i fatti: li seguono, li giudicano, forse, li scandagliano ma in nessun caso riescono a descrivere il suono di un grido muto prodotto da un sentimento.

Come spiegare la violenza? Come riuscire a ricreare quell'atmosfera di istintività e paura che si respira in quei momenti?

*  *  *

Una giornata piacevole, tranquilla, era trascorsa e nella quiete di un attimo le nubi di una rabbia primordiale si sono destate. Posso sentire dentro di me quella forza che cova in lui, così distruttiva, così rancorosa: mi sembra di essere in grado di sentire il sangue scorrere nelle mie vene come se al suo posto vi si trovasse della caffeina; una strana pressione si forma sul mio petto come se qualcosa vi ribollisse dentro; la mia testa, tesa, vuota, e consapevole di ciò che sta per fare: mi ordina di scagliarmi contro quella persona incapace di comprendere i miei sentimenti e che supinamente accetta le mie parole. Quello sguardo innocente mi dà il voltastomaco: mi sta prendendo in giro, ne ho la certezza, si prende gioco di me, ride alle mie spalle quella fottuta strega!

Tutte queste sensazioni si rimescolano dentro di me: posso palparle e ne ho paura. Tremo al solo pensiero che lui reagisca ad esse. I miei muscoli si tendono all'inverosimile ed il mio respiro si blocca nell'esatto istante in cui lui, seduto di fronte a me, si alza.

Gli avevo appena risposto male, noncurante, scioccamente non ci avevo pensato: “Non rompere, dai, lasciami usare il computer in pace, non c'ho voglia di starti a sentire”.

Stupida ragazzina che non dà peso alle parole che pronuncia: avrei dovuto saperlo, dovevo immaginarlo che si sarebbe arrabbiato ma quelle singole sillabe sono uscite dalla mia bocca senza che io potessi fermarle. Sciocca noncuranza.

Urla, mi chiama puttana, è arrabbiato. Lo sapevo. La sua voce sembra ovattata, non riesco a seguire ciò che sta dicendo, sento ogni cellula del mio corpo tremare, sono paralizzata.
Afferra il mio braccio ed inizia a storcerlo, sempre più forte. Sto urlando anch'io ora? Sento un altro dolore alla schiena. Cosa sta facendo? Non riesco a capire cosa succede. Le sue mani mi afferrano e mi stritolano, ingiuriano la mia pelle. Odo la mia voce stridula che piagnucola per il dolore, le lacrime scendono dal mio volto ma non sento dolore: è la mia testa, è tutto concentrato lì. Non esisto più, non sento nulla: è come vedermi dall'esterno senza comprendere pienamente ciò che sta accadendo, cercando di divincolarmi dalle sue morse per istinto e per paura sperando che, ad un certo punto, si calmi: cosa che, effettivamente, non so come, non so perché ma accade. Mi spinge verso la porta d'uscita e mi chiude fuori.

Si è fermato, finalmente. Posso ricominciare a respirare, riesco a sentire le mie lacrime scorrere e la mia testa pulsare, il suo cuore battere ad un ritmo meno sostenuto.

Telefono ad un'amica, in lacrime:
“Cosa succede? Stai bene?” risponde lei allarmata.
“L'ha rifatto, mi ha picchiata di nuovo, non so cosa fare, mi ha chiusa fuori, sono le quattro del mattino non so dove andare, sono senza soldi” parlo veloce quasi senza una pausa.
“Denuncialo, vai alla polizia” poi aggiunge: “Puoi restare da me, comunque”
“Non posso denunciarlo” mi lamento, poi, sento la voce di lui che mi chiama scusandosi “Cosa posso fare, dimmi cosa devo fare? Non so cosa fare, aiutami, lui è qui, vuole riportarmi a casa”
“No, no e no tu ora vieni da me immediatamente, per favore non fare cazzate e mollalo all'istante” è preoccupata per me, si sente dalla voce, è nervosa: non sa cos'è esattamente successo, non sa che è stata colpa mia se lui ha reagito in quel modo. La mia amica sicuramente sente la voce di lui pregarmi di tornare, forse pensa sia come il miagolio di un gatto che pretende del cibo ma non è così, è pentito realmente per ciò che ha fatto.

“L'hai fatto di nuovo. Mi avevi promesso. Avevi detto che non l'avresti più fatto, mai più”
“Scusami amore, non volevo. Lo sai: a volte si perde il controllo e si dicono e si fanno cose che non si vorrebbe. Perdonami. Non lasciarmi. Non posso vivere senza di te”
“Ora me ne vado”
“No, non andartene, non andartene. Se lo fai morirò, mi ucciderò, non farlo, ti scongiuro”

Non c'è più pericolo, lui è calmo: posso stare tranquilla, è finito tutto. Posso tornare a casa da lui, giusto per stanotte, giusto per evitare che faccia qualche sciocchezza come buttarsi sotto un treno.

È pentito, ne sono certa più che mai. Mi guarda con quegli occhi disperati, ha bisogno di me: non posso abbandonarlo, devo aiutarlo. Non mi picchierà più, l'ha promesso, ha capito che se lo rifarà mi perderà. La prossima volta lo lascerò... la prossima volta... lo amo troppo, non posso pensare a rimanere senza di lui.

Non è successo niente, non riaccadrà più.

*  *  *

Prova a metterti al mio posto, prova a pensare di essere tu l'amica che ti ha sentito piangere al telefono chiedendole aiuto, prova a pensare di essere la tua stessa madre, quanto saresti arrabbiata al posto suo? 
Quanto saresti arrabbiata al mio posto? Sto cercando ti capire e comprendere cosa ti passi per la testa: una parte di me sa che tu dipendi da lui.

Sono quell'amica che ha tentato di mettersi al tuo posto, sono quella persona che chiami quando hai bisogno, sono quella ragazza di cui non ascolti i consigli. Sono quella che perderai quando ti vedrà tornare da lui poiché il disgusto per quell'uomo e la preoccupazione per la tua incolumità lasceranno spazio alla consapevolezza che tu vuoi sia così, che a te piace essere picchiata perché sei la prima a non credere in se stessa.

martedì 22 febbraio 2011

Paralisi e Rivoluzione

L'attenzione italiana si sta focalizzando principalmente sulla figura del nostro Presidente del Consiglio mentre attorno a noi vengono portati a termine dei colpi di stato.
 
Secondo Renato Mannheimer, attualmente, solo il 28 % degli italiani desidera vedere ancora in carica Berlusconi eppure, lui, spinge al massimo tutti gli ingranaggi parlamentari per creare nuove leggi che lo salvino da se stesso.
Il suo piano di battaglia inizia è iniziato ieri, giorno dedicato alla calendarizzazione dei processi brevi: in altre parole tutti i processi, quali Mediaset e Mills, verrebbero annullati dalla prescrizione, risultando, inoltre, Berlusconi tutt'ora incensurato.
 
Domani, invece, la giornata sarà dedicata, ovviamente, ad intercettazioni ed immunità parlamentare tentando, come precedentemente accaduto, di “imbavagliare” i giornalisti.
Il titolo di un articolo di ieri su “Il Fatto” cita: “Basta B. gli italiani vogliono votare” (http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/20/mannheimer-basta-b-gli-italiani-vogliono-le-urne/93156/) eppure tutto tace: come sempre sediamo tranquilli a guardare la televisione, lamentandoci della situazione attuale ma, come si suol dire, non ci rimbocchiamo le maniche.
 
Passiamo il tempo a seguire le vicende di Berlusconi, catalizzatore d'attenzione, senza comprendere che siamo circondati, letteralmente, da degli Stati in rivoluzione.
 
I nostri giornalisti non si sono lasciati sfuggire il fatto che, mentre USA, Gran Bretagna, Francia e Germania denunciavano indignati l'uso della violenza sulla folla attuata dalle forze dell'ordine in Libia (circa 300 morti) l'Italia si diceva preoccupata per gli sbarchi clandestini a cui sarà sottoposta.
Umanamente la reazione italiana è alquanto discutibile ma politicamente bisogna tener conto di quanto il fattore sbarchi sia pericoloso da un punto di vista di sicurezza nazionale: il clima di disordine che ora regna e l'arrivo di migliaia di persone sulle nostre coste sarà difficile da contenere.
 
Senza contare che Tripoli ha contattato ieri un rappresentante dell'unione europea, l'ambasciatore ungherese, avvertendo che se l'UE continuerà a proteggere i manifestanti le autorità non si occuperanno del fronte delle immigrazioni.
 
Da non dimenticare, inoltre, i patti che, in questi anni l'Italia ha stretto con Gheddafi:
Tutto questo per non dimenticare quanto l'Italia si sia lasciata risucchiare dagli eventi, alla ricerca d'affari, ed ora rischi secondo Enrico Jacchia, responsabile del Centro di Studi Strategici, di dover fronteggiare una possibile richiesta d'asilo di Gheddafi nel caso riesca a lasciare la Libia incolume sprofondando, logicamente, il nostro Paese in un “pasticcio europeo”.
 
Probabilmente, quindi, sarebbe meglio iniziare a preoccuparsi di quanto l'Italia stia rischiando, al momento, sul fronte estero, essendo il Paese più vicino ai disordini che stanno accadendo, mettendo da parte un Presidente del Consiglio che, invece, è interessato a salvare la propria persona dai processi in cui è imputato.
 
Ci stiamo sempre più avvicinando ad un regime di emergenza: tutti i Paesi europei, nonché l'America (Obama stesso ha condannato l'uso della violenza contattando il monarca del piccolo Stato del Barheim, suo vecchio alleato e ponendosi, quindi, in una posizione alquanto scomoda) se ne stanno preoccupando e rabbrividiscono all'idea che possa dilagare la violenza oltre i confini medio-orientali mentre l'Italia, silenziosa, attende ed osserva timorosa nel prendere una posizione...

giovedì 10 febbraio 2011

Cronaca dal Mondo dei Vivi

Ieri è stata indetta la giornata nazionale dedicata agli stati vegetativi, considerati dall'esecutivo una forma di disabilità. È stata scelta, paradossalmente, come data il 9 febbraio poiché essa coincide con la morte di Eluana: deceduta due anni fa, dopo diciassette anni di stato vegetativo, in seguito all'interruzione dell'alimentazione ed idratazione artificiali richieste dal padre che si è battuto contro ciò che riteneva un “accanimento terapeutico”.

Logicamente, e condivido l'affermazione, il padre di Eluana ha commentato così la manifestazione: inopportuna ma soprattutto indelicata" per me, aggiunge: “il 9 febbraio sarà la giornata del silenzio".

Tante persone hanno speculato e parlato di questo caso e della mancanza o meno di morale ed umanità che si trova dietro alla decisione di rendere l'eutanasia legale ma creare una giornata come questa in nome di una ragazza che, non dimentichiamolo, aveva manifestato la sua riluttanza a rimanere in vita in uno stato del genere prima del fatale incidente: coloro che parlano, però, di questa manifestazione sembrano averlo dimenticato.

Il sottosegretario Eugenia Rocella, infatti, commenta in questo modo: a tutti noi l’anniversario della morte di Eluana Englaro, una ragazza affetta da disabilità grave la cui vita è stata interrotta per decisione della magistratura”.

Al di là di tutte queste “lotte politiche” riguardo l'argomento in questione e, soprattutto, la volontà da parte di alcuni, di rendere la figura di Eluana una sottospecie di vittima o, peggio ancora, martire e di parlare a nome suo sebbene non abbiano mai avuto modo di conoscerla personalmente (cosa che trovo inutile e pretenziosa), il mio interesse si focalizza sulla grande questione del “Testamento Biologico”.

Per quanto riguarda lo stato italiano è molto difficile pensare che la religione, il governo attuale e, diciamolo, i benpensati che affliggono la nostra società rendano possibile il “Testamento Biologico” a causa di qualche paura atavica che rende loro alquanto incomprensibile dare facoltà e libertà di scelta a tutti. Il testamento, infatti, sarebbe semplicemente una volontà, manifestata anticipatamente (cioè in visione di un possibile futuro in stato vegetativo) dal paziente.

Prendendo un caso lasciato maggiormente in sordina ma in cui la protagonista aveva effettivamente lasciato uno scritto in cui le sue volontà erano state chiaramente manifestate: Anna Busato, in seguito ad aneurisma si trovava in stato vegetativo e, in seguito ad un appello fatto dal marito in Italia, il consorte ha deciso di portarla direttamente in Olanda dove, dopo tre mesi di attesa, hanno deciso di rispettare il “Testamento Biologico” lasciandola morire (un articolo maggiormente informativo sulla questione si trova su: http://www.lucacoscioni.it/rassegnastampa/da-venezia-all-olanda-morire-come-eluana).

A questo proposito rimando alla legge olandese 194, in vigore dal 2001, consultabile tramite il link: http://cadavrexquis.typepad.com/cadavrexquis/2006/03/che_cosa_dice_l.html

In cui, leggendo attentamente, viene sottolineato come l'eutanasia non venga “somministrata” senza coscienza ma seguendo precise direttive quali:

"1. I requisiti di accuratezza, indicati nell'articolo 293, secondo comma, del Codice Penale, prevedono che il medico:
a. abbia la convinzione che si sia trattato di una richiesta libera e ben meditata del paziente,
b. abbia la convinzione che si sia trattato di una sofferenza ineludibile e insopportabile del paziente,
c. abbia informato il paziente della situazione in cui egli si trovava e delle sue prospettive,
d. con il paziente sia giunto alla convinzione che per la situazione in cui egli si trovava non vi fosse altra soluzione ragionevole,
e. si sia consultato con almeno un altro medico indipendente, il quale abbia visto il paziente e abbia dato per iscritto il suo giudizio sui requisiti di accuratezza indicati nei punti a-d, e
f. abbia praticato l'eutanasia o l'assistenza al suicidio con accuratezza medica.

2. Se il paziente di sedici anni o più non è più in grado di esprimere la sua volontà, ma prima di cadere in tale condizione era stato giudicato in grado di fornire una ragionevole valutazione dei suoi interessi e aveva rilasciato una dichiarazione scritta contenente una richiesta di eutanasia, allora il medico può dare seguito a questa richiesta. I requisiti di accuratezza, indicati nel primo comma, sono applicabili in conformità.

3. Se il paziente minorenne ha un'età compresa tra i sedici e diciott'anni ed può essere ritenuto in grado di fornire una valutazione ragionevole dei suoi interessi, il medico può dare seguito alla richiesta del paziente di eutanasia o di assistenza al suicidio, dopo avere coinvolto il genitore o i genitori che esercita o esercitano la patria potestà su di lui, oppure il suo tutore, prima di prendere una decisione.

4. Se il paziente minorenne ha un'età compresa tra i dodici e i sedici anni e può essere ritenuto in grado di fornire una valutazione ragionevole dei suoi interessi, il medico - se il genitore o i genitori che esercita o esercitano la patria potestà su di lui, oppure il suo tutore, possono essere d'accordo con l'eutanasia o con l'assistenza al suicidio - può dare seguito alla richiesta del paziente. Il secondo comma è applicabile in conformità.
"


Concludo, quindi, chiedendomi quale sia il timore di dare la possibilità alle persone di scegliere se continuare a vivere in stato vegetativo oppure morire. È una decisione personale di cui non vedo alcuna minaccia verso altri se non i famigliari che, spesso, egoisticamente (ma comprensibilmente) continuano a pensare che il risveglio dei propri cari sia possibile: il “Testamento Biologico” toglierebbe loro ogni speranza.

lunedì 7 febbraio 2011

Le Peripezie del Kilogrammo

Ieri degli studenti del Belgio sono stati rimossi da un volo Ryanair in partenza dalle Isole Canarie poiché difficilmente contenibili per lo staff e, ovviamente, per la sicurezza. Il motivo di questo disordine era legato alle regole della compagnia che richiede una certa grandezza (55 x 40 x 20cm) e un certo peso (max. 10 Kg.) per quanto riguarda il bagaglio a mano ma non tutti i passeggeri sono disponibili a seguirle (cliccando questo indirizzo potete trovare l'articolo riguardante l'accaduto: http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-12378558).

Logicamente, ci sono due possibilità nel caso in cui il bagaglio non risponda alle richieste del contratto: lasciare alcune cose a terra oppure, semplicemente, pagare 15 euro in più per caricarlo nella stiva.

Non trascuriamo, inoltre, che si decide di partire due mesi prima c'è la possibilità di comprare biglietti aerei ad un prezzo molto basso: al di sotto dei 20 euro, spesso dei 10 euro, con spese aeroportuali e bagaglio a mano inclusi ma, logicamente valigia esclusa (per la quale sono richiesti 15 euro da aggiungere). In ogni caso se calcoliamo quanto spenderemmo in altre condizioni: prendendo un treno oppure in auto, la spesa è alquanto contenuta e l'ora di effettivo viaggio è più che dimezzata.

Tutti coloro che decidono di prendere il volo con Ryanair sono a perfetta conoscenza delle regole imposte dalla compagnia (scritte nero su bianco in tutti i biglietti e ribaditi dal personale più volte) eppure è alquanto frequente trovare gente nel bel mezzo dell'aeroporto che piange chiedendosi: “Cosa devo buttare, ora?” e tirar fuori una bottiglia di Vodka aggiungendo: “Questa posso lasciarla qui”.

Il problema tendenzialmente è legato a persone che, in seguito ad una vacanza, si comprano e si portano dietro mezzo mondo nella propria valigia: spesso souvenir e cose inutili. Un'amica, quando è venuta a sapere che avevo preso un biglietto con Ryanair mi ha detto di fare molta attenzione perché lei era stata costretta a pagare la sovrattassa per il bagaglio e che non avrebbe mai più deciso di viaggiare con tale compagnia proprio a causa di questo inconveniente preferendo pagare di più il biglietto a monte.

Ho fatto un viaggio di recente e, personalmente, nel mio bagaglio si trovavano una macchina fotografica reflex (quindi nemmeno piccola), tre libri particolarmente pesanti, penne, una felpa ed i documenti: il peso complessivo risultava essere molto al di sotto dei 10 Kg. consentiti. Logicamente, stando due settimane all'estero, mi sono portata anche una valigia, che raggiungeva 14 Kg. e che ho fatto caricare in stiva, all'interno della quale c'erano anche liquidi (non consentiti se non minori di 10ml. all'interno del bagaglio a mano). Nel ritorno non ho avuto alcun problema perché non ho aggiunto nulla in valigia per cui il peso complessivo era lo stesso dell'andata.

Durante il viaggio di andata non ho assistito a nessun grande dramma ma al ritorno, da Londra, tutti i passeggeri del mio volo hanno perso un'ora in coda per salire sull'aereo a causa del primo passeggero in fila che, inveendo in italiano verso il personale Ryanair, si rifiutava di pagare quindici euro in più. Lo staff, tranquillamente, ha chiesto all'uomo di provare a infilare il proprio bagaglio all'interno di una scatola grande quanto le regole imposte per dimostrargli l'invalidità delle sue ragioni ma il passeggero continuava ad agitarsi dicendo che non aveva mai avuto problemi di questo genere prima d'allora e che, già, aveva pagato quindici euro in più per un altro bagaglio. Alla fine, nel rischio di essere espulso dal volo, ha finalmente deciso di pagare la sovrattassa.

Gli altri passeggeri italiani in fila guardavano con preoccupazione il personale dell'aeroporto perché evidentemente consapevoli che i loro stessi bagagli erano troppo grandi mentre gli inglesi rilassatamente ridacchiavano, abituati a non trasgredire le regole: in Italia, e forse anche in altri Paesi, siamo abituati che, se possono, le autorità chiudono un occhio lasciandoti passare e, di conseguenza ci aspettiamo di riuscire a cavarcela in qualche modo in Inghilterra, ho notato, le persone seguono semplicemente le regole, non contano sulla bontà dell'autorità: semplicemente per loro è normale, nel rispetto di una convivenza civile, cercare di essere corretti nel proprio comportamento.

mercoledì 2 febbraio 2011

London at night


London at night no.1 by =anakuklosis on deviantART
 
Questa è una delle ultime foto che ho scattato nel centro di Londra nonché una delle mie preferite.

martedì 4 gennaio 2011

Fotografie


Una delle mie passioni è la fotografia e, non da molto tempo, ho aperto un portale su Deviantart (sito che ospita fotografi, scrittori, disegnatori e tutto ciò che potrebbe concernere l'arte).

Questa è una delle mie preferite: è stata scattata in Friuli Venezia Giulia al fiume Tagliamento.

Per vedere tutte le foto che ho fatto e per ingrandire quella che segue potete cliccare su: http://anakuklosis.deviantart.com/ (spero vi piacciano).