mercoledì 14 aprile 2010

L'istinto dimenticato


Sono cresciuta in un paesino di campagna dove il contatto con gli animali è qualcosa di naturale, ho imparato ad amarli grazie ad un padre appassionato.

Da grande ho avuto cani e gatti ma l’animale che più mi ha colpito e con cui sono cresciuta è il cavallo. Avevo solo pochi mesi quando mio padre mi mise in groppa alla sua puledra facendomi una foto. Non sono però i vecchi ricordi d’infanzia di cui voglio parlare, ma di uno degli animali che personalmente ritengo più “umani” sebbene a tutt’oggi molti dicano che siano “stupidi”.

I cavalli hanno una memoria molto sviluppata: se il padrone gli fa fare due volte la stessa strada fermandosi negli stessi punti, il cavallo ricorderà il percorso e le fermate senza che l’uomo glielo ricordi. Questo fattore, a volte, convince le persone della stupidità di questo animale. 

Tendenzialmente, anche se piano piano questa idea sta cambiando, viene insegnato ai giovani cavallerizzi a dominare il cavallo e non, al contrario, a giocare con lui instaurando un rapporto di scambio reciproco, imparando a sentirlo ed a percepirne i cambiamenti d’umore. Probabilmente questo deriva, anche, da una paura della forza che un animale così grande può sprigionare: nessuno può rimanere in sella ad un cavallo che non vuole essere domato a meno ché non usi una corda e ci si leghi.

Personalmente, ho cresciuto una puledrina di sei mesi: quando l’ho presa era terrorizzata, bastava toccarla con un dito per farla tremare come una foglia perché era stata divisa dalla mamma di colpo e troppo presto. Ogni qualvolta ci si avvicinava a lei, scappava, eppure c’era qualcosa che, se restavi lì immobile ad osservarla, le sussurravi parole per lei senza senso con voce calma, piano piano veniva accanto a te, piena di timore ma allo stesso tempo di curiosità e bisogno di contatto.

Era un cucciolo troppo cresciuto molto attento ed intelligente: evitava i pericoli da sola, guardava dove andava, era sempre concentrata ed in due mesi, in cui il mio unico lavoro è stato passare del tempo a contatto con lei accarezzandola e giocandoci, si è trasformata in un animale sicuro di sé ed affidabile. Aveva solo il disperato bisogno di fidarsi di qualcuno che non le facesse del male e non se ne andasse. 

Questo tipo di animali ha una sensibilità molto spiccata, probabilmente legata anche a quella parte primitiva ed istintuale che li faceva sopravvivere allo stato brado, e questo li rende i perfetti candidati per la “pet therapy“.

Questa terapia, riconosciuta ed appoggiata a livello internazionale, sostiene che (affiancata ovviamente dalle giuste cure mediche) la compagnia di un animale sia un aiuto rilevante per aiutare il paziente a superare il proprio problema sia a livello psicologico che fisico.

Il cavallo è uno degli animali in questo caso più utilizzato, proprio grazie alla sua stazza (può dare sicurezza imparare a chiedergli delle piccole cose come camminare o andare a destra/sinistra) ed alla sua sensibilità (se c’è, per esempio, una persona malata l’animale cambia subito atteggiamento nei suoi confronti, divenendo a volte anche molto più docile) sia come aiuto per persone con handicap sia, solamente, come mezzo attraverso il quale prendere sicurezza delle proprie capacità lasciando alle spalle blocchi psicologici vari, in altre parole, un compagno ideale nel percorso di guarigione e ripresa della coscienza del proprio corpo.