Ho passato la settimana a cercare di creare una sceneggiatura per la Script Continuity (per il famoso corso di laboratorio che sto seguendo e di cui ho parlato nel post precedente).
Il problema era partire dall’idea altrui costruendoci sopra qualcosa di più consistente. Le persone del mio gruppo, contro il mio parere, avevano pensato di fare un semplice video basato sull’utilizzo di parti del corpo. Mi spiego meglio, l’idea di partenza era nella prima parte far vedere il particolare di un volto femminile, poi con uno zoom indietro mostrare il viso interamente. La stessa cosa da farsi successivamente con la schiena di un uomo, le mani di una donna, i piedi di un uomo e dei genitali non ancora definiti per finire, poi, con sia lui che lei completamente nudi davanti alla telecamera. Per coronare il tutto avevano pensato che era intelligente utilizzare le registrazioni delle lezioni per il sonoro: evitava di dover scrivere una sceneggiatura (dato che nessuno voleva occuparsene).
Quello che ho contestato dell’idea è che risultava troppo statica: da un lato sembrava quelle famose ed orribili interviste del telegiornale in cui mostrano la foto della persona che parla in collegamento esterno, dall’altro continuava a balenarmi nella mente l’immagine di un laboratorio per la sezione dei cadaveri. Senza contare il problema dell’audio legato all’inconsistenza di una registrazione digitale di basso livello.
Così, per farmi piacere quest’idea, ho chiesto se qualcuno aveva in mente di collaborare ad una sceneggiatura: non ho ricevuto risposta, per cui sia per diletto e gioco che per necessità mentale e masochismo ne ho fatte un paio per conto mio.
Intanto ne posto una (quella che preferisco), l’altra è in attesa di essere “ricamata” meglio ma probabilmente nei prossimi giorni la aggiungerò nel blog.
I vari capitoli che dividono le scene della mia sceneggiatura sono una serie di documentari a tema creati dai miei colleghi di corso.
Il problema era partire dall’idea altrui costruendoci sopra qualcosa di più consistente. Le persone del mio gruppo, contro il mio parere, avevano pensato di fare un semplice video basato sull’utilizzo di parti del corpo. Mi spiego meglio, l’idea di partenza era nella prima parte far vedere il particolare di un volto femminile, poi con uno zoom indietro mostrare il viso interamente. La stessa cosa da farsi successivamente con la schiena di un uomo, le mani di una donna, i piedi di un uomo e dei genitali non ancora definiti per finire, poi, con sia lui che lei completamente nudi davanti alla telecamera. Per coronare il tutto avevano pensato che era intelligente utilizzare le registrazioni delle lezioni per il sonoro: evitava di dover scrivere una sceneggiatura (dato che nessuno voleva occuparsene).
Quello che ho contestato dell’idea è che risultava troppo statica: da un lato sembrava quelle famose ed orribili interviste del telegiornale in cui mostrano la foto della persona che parla in collegamento esterno, dall’altro continuava a balenarmi nella mente l’immagine di un laboratorio per la sezione dei cadaveri. Senza contare il problema dell’audio legato all’inconsistenza di una registrazione digitale di basso livello.
Così, per farmi piacere quest’idea, ho chiesto se qualcuno aveva in mente di collaborare ad una sceneggiatura: non ho ricevuto risposta, per cui sia per diletto e gioco che per necessità mentale e masochismo ne ho fatte un paio per conto mio.
Intanto ne posto una (quella che preferisco), l’altra è in attesa di essere “ricamata” meglio ma probabilmente nei prossimi giorni la aggiungerò nel blog.
I vari capitoli che dividono le scene della mia sceneggiatura sono una serie di documentari a tema creati dai miei colleghi di corso.
IPOTESI DI SCENEGGIATURA
Tutte le parti del corpo descritte sono “divise dal corpo”, come staccate dalle proprie estensioni. Il lavoro è ideato con l’intento di utilizzare la monocromia e, anche se non specificato, lo sfondo presente in ogni scena risulta nero.
Tutte le parti del corpo descritte sono “divise dal corpo”, come staccate dalle proprie estensioni. Il lavoro è ideato con l’intento di utilizzare la monocromia e, anche se non specificato, lo sfondo presente in ogni scena risulta nero.
SCENA 1 - INTRODUZIONE
Un volto, distaccato dal corpo che ruota su se stesso lentamente, (tramite l’ausilio di un pannello nero che si confonda con lo sfondo alle sue spalle), dal colore monocromatico rosa sfuma gradatamente, durante la scena, verso il rosso.
L’espressione del viso inizialmente rilassata, una volta compiuto il giro, ritorna alla posizione di partenza con uno sguardo stupito.
Nel frattempo sentiamo un audio meccanico, i rumori tipici che possiamo trovare da un fabbro in cui si producono suoni come quelli provocati dal ferro battuto.
Una voce off di un uomo con voce inizialmente frettolosa dice: “Si, è perfetta, proprio quello che desideravo. Il volto va benissimo ma siamo sicuri che possa funzionare?” le sue parole si fanno più lente e riflessive: “Come possiamo avere la certezza che nessuno si accorga della reale materia di cui è fatta questa donna?”
La voce di una donna incalza freddamente: “Secondo lei le persone hanno il tempo di cercare di comprendere chi hanno di fronte? L’unica cosa su cui dobbiamo puntare sono i dettagli: il colore degli occhi, la presenza di alcune rughe a sottolinearne l’umanità, delle unghie ben curate ma non perfette, questi sono elementi importanti, non di certo il suo modo d’esprimersi a parole”.
Un rumore secco in concomitanza con la chiusura delle luci segna lo stacco e l’introduzione del primo gruppo di cortometraggi.
ROLEPLAY - autoerotismo, omosessualità, sadomasochismo
SCENA 2
Lo schermo si presenta nero, si accende una luce posizionata centralmente e direttamente al di sopra dell’immagine che illumina una schiena. Questa gira su se stessa come il volto nella prima scena, dal colore rosso passa al monocromatico blu.
Due voci sincrone di un uomo e di una donna esordiscono: “Cerchiamo di nascondere la sostanza di cui siamo fatti dietro alle ideologie, ci aggrappiamo disperatamente a qualcosa in cui possiamo credere per poter sopravvivere, ci rendiamo aridi perché incapaci ormai di sognare. Ora, invece, guarda, osserva ciò di cui siamo stati capaci. La creazione di qualcosa d’altro da noi, eppure, così simile: siamo i suoi déi, siamo ciò in cui lui dovrà credere, ciò a cui abbiamo sempre aspirato ormai è compiuto. Ci siamo sostituiti a dio e questo per noi è più dolce di qualsiasi altra presa di coscienza”.
CONDIZIONAMENTI AMBIENTALI - chiesa, etnia, stupro
SCENA 3
Una dissolvenza in nero in entrata inizia a mostrarci una mano con dei fili che partono dall’estremità del polso fino a estendersi al di fuori dell’inquadratura. Un ticchettio continuo di orologio scandisce il tempo.
Un cubo di Rubik si trova accanto a questa che lo afferra. Dallo sfondo nero, alle spalle degli oggetti presentati, compare un’altra mano che, prendendo il cubo dal lato opposto della prima, inizia a districarlo seguendo il ticchettio di sottofondo. Il colore monocromatico in questa scena và dal blu al verde escludendo l’unico oggetto presentato con i suoi naturali colori che sarà, ovviamente, il cubo.
La voce off della stessa donna delle altre scene esordisce:“Non farci caso, non stanno mai ferme, hanno bisogno di testare le loro percezioni.”
L’uomo le chiede allora: “A cosa pensate sia dovuto?”
Risponde lei: “Non riusciamo a capire perché si sia sviluppata questa volontà, non sappiamo da dove l’abbiano dedotta: fili, chip, meccanismi informatici non ci hanno dato una risposta”.
APERCEZIONI: webcam, il sesso per i chiechi, nudità
SCENA 4
Il colore ora da verde diventa gradualmente giallo.
Un piede fermo, poggiato su un piedistallo (con gli stessi fili che partono dalla caviglia presentati nella scena delle mani) viene smaltato con un colore rosso scuro, con attenzione e lentezza, da una mano che indossa un guanto trasparente. Il rumore di un metronomo in crescendo e con ritmo sempre più incalzante scandisce la scena.
Una voce off di un’altra donna, concentrata e triste, dice: “Temo che il tempo possa logorarli, ci ho lavorato così tanto per poterli rendere perfetti e non penso lo siano tutt’ora. Più li osservo e li accarezzo più nella mia mente si fa concreta l’idea che possano rovinarsi: qualcuno potrebbe renderli irriconoscibili al proprio creatore. Se solo potessimo fermare il tempo allora, sì, potremmo considerarci invincibili”. Il piede inizia a prendere fuoco e la plastica di cui è fatto a sciogliersi. Il metronomo si ferma, la luce si spegne.
PASSO A DUE: scambismo, abitudine sessuale negli anziani, sessualità tra sconosciuti, confronto con "Comizi d'Amore" di Pasolini
SCENA CONCLUSIVA
La scena è filmata all’aperto, una piazza, mostra varie persone che chiacchierano e camminano. Visivamente ogni persona verrà resa con un colore monocromatico diverso mentre lo sfondo della piazza in scala di grigi.
Le voci off di un uomo ed una donna in sincrono, con sprezzo, concludono: “Guardali, sono come noi, identici. Persino i loro sguardi ci rispecchiano. Tante chiacchiere, progetti, creazioni per arrivare a confrontarci con vuoti elementi di plastica: non siamo più in grado di guardare noi stessi, abbiamo bisogno di concentrarci sull’alterità per sentirci apparentemente più completi e migliori”.
Un volto, distaccato dal corpo che ruota su se stesso lentamente, (tramite l’ausilio di un pannello nero che si confonda con lo sfondo alle sue spalle), dal colore monocromatico rosa sfuma gradatamente, durante la scena, verso il rosso.
L’espressione del viso inizialmente rilassata, una volta compiuto il giro, ritorna alla posizione di partenza con uno sguardo stupito.
Nel frattempo sentiamo un audio meccanico, i rumori tipici che possiamo trovare da un fabbro in cui si producono suoni come quelli provocati dal ferro battuto.
Una voce off di un uomo con voce inizialmente frettolosa dice: “Si, è perfetta, proprio quello che desideravo. Il volto va benissimo ma siamo sicuri che possa funzionare?” le sue parole si fanno più lente e riflessive: “Come possiamo avere la certezza che nessuno si accorga della reale materia di cui è fatta questa donna?”
La voce di una donna incalza freddamente: “Secondo lei le persone hanno il tempo di cercare di comprendere chi hanno di fronte? L’unica cosa su cui dobbiamo puntare sono i dettagli: il colore degli occhi, la presenza di alcune rughe a sottolinearne l’umanità, delle unghie ben curate ma non perfette, questi sono elementi importanti, non di certo il suo modo d’esprimersi a parole”.
Un rumore secco in concomitanza con la chiusura delle luci segna lo stacco e l’introduzione del primo gruppo di cortometraggi.
ROLEPLAY - autoerotismo, omosessualità, sadomasochismo
SCENA 2
Lo schermo si presenta nero, si accende una luce posizionata centralmente e direttamente al di sopra dell’immagine che illumina una schiena. Questa gira su se stessa come il volto nella prima scena, dal colore rosso passa al monocromatico blu.
Due voci sincrone di un uomo e di una donna esordiscono: “Cerchiamo di nascondere la sostanza di cui siamo fatti dietro alle ideologie, ci aggrappiamo disperatamente a qualcosa in cui possiamo credere per poter sopravvivere, ci rendiamo aridi perché incapaci ormai di sognare. Ora, invece, guarda, osserva ciò di cui siamo stati capaci. La creazione di qualcosa d’altro da noi, eppure, così simile: siamo i suoi déi, siamo ciò in cui lui dovrà credere, ciò a cui abbiamo sempre aspirato ormai è compiuto. Ci siamo sostituiti a dio e questo per noi è più dolce di qualsiasi altra presa di coscienza”.
CONDIZIONAMENTI AMBIENTALI - chiesa, etnia, stupro
SCENA 3
Una dissolvenza in nero in entrata inizia a mostrarci una mano con dei fili che partono dall’estremità del polso fino a estendersi al di fuori dell’inquadratura. Un ticchettio continuo di orologio scandisce il tempo.
Un cubo di Rubik si trova accanto a questa che lo afferra. Dallo sfondo nero, alle spalle degli oggetti presentati, compare un’altra mano che, prendendo il cubo dal lato opposto della prima, inizia a districarlo seguendo il ticchettio di sottofondo. Il colore monocromatico in questa scena và dal blu al verde escludendo l’unico oggetto presentato con i suoi naturali colori che sarà, ovviamente, il cubo.
La voce off della stessa donna delle altre scene esordisce:“Non farci caso, non stanno mai ferme, hanno bisogno di testare le loro percezioni.”
L’uomo le chiede allora: “A cosa pensate sia dovuto?”
Risponde lei: “Non riusciamo a capire perché si sia sviluppata questa volontà, non sappiamo da dove l’abbiano dedotta: fili, chip, meccanismi informatici non ci hanno dato una risposta”.
APERCEZIONI: webcam, il sesso per i chiechi, nudità
SCENA 4
Il colore ora da verde diventa gradualmente giallo.
Un piede fermo, poggiato su un piedistallo (con gli stessi fili che partono dalla caviglia presentati nella scena delle mani) viene smaltato con un colore rosso scuro, con attenzione e lentezza, da una mano che indossa un guanto trasparente. Il rumore di un metronomo in crescendo e con ritmo sempre più incalzante scandisce la scena.
Una voce off di un’altra donna, concentrata e triste, dice: “Temo che il tempo possa logorarli, ci ho lavorato così tanto per poterli rendere perfetti e non penso lo siano tutt’ora. Più li osservo e li accarezzo più nella mia mente si fa concreta l’idea che possano rovinarsi: qualcuno potrebbe renderli irriconoscibili al proprio creatore. Se solo potessimo fermare il tempo allora, sì, potremmo considerarci invincibili”. Il piede inizia a prendere fuoco e la plastica di cui è fatto a sciogliersi. Il metronomo si ferma, la luce si spegne.
PASSO A DUE: scambismo, abitudine sessuale negli anziani, sessualità tra sconosciuti, confronto con "Comizi d'Amore" di Pasolini
SCENA CONCLUSIVA
La scena è filmata all’aperto, una piazza, mostra varie persone che chiacchierano e camminano. Visivamente ogni persona verrà resa con un colore monocromatico diverso mentre lo sfondo della piazza in scala di grigi.
Le voci off di un uomo ed una donna in sincrono, con sprezzo, concludono: “Guardali, sono come noi, identici. Persino i loro sguardi ci rispecchiano. Tante chiacchiere, progetti, creazioni per arrivare a confrontarci con vuoti elementi di plastica: non siamo più in grado di guardare noi stessi, abbiamo bisogno di concentrarci sull’alterità per sentirci apparentemente più completi e migliori”.