Tesina redatta per l'esame di Storia del cinema Nordamericano tenuto dal professor Michele Fadda Università degli studi di Bologna
Il soggetto di tale ricerca, Monte Hellman, era obbligatorio mentre la scelta dell'argomento da trattare risultava a descrizione dello studente.
L'idea di mettere a confronto il regista cinematografico con la corrente esistenzialistica è stata tratta dall'articolo "Americano, straniero... il caso Monte Hellman" di Michele Fadda pubblicata nella raccolta a cura dello stesso American stranger, il cinema di Monte Hellman, ed. Cineteca Bologna, 2009.
Introduzione
A prima
vista i film girati da Monte Hellman possono trasmettere una sensazione
di vuoto ed apatia: i finali tendono ad essere sospesi, a sgretolarsi
come, per esempio, la scena della pellicola che brucia nel finale di Two-Lane Blacktop dissolvendo l'intera immagine.
Esistenzialismo
è stata una parola più volte usata dai critici per descrivere il cinema
di questo regista in seguito, anche, ad un'intervista in cui egli
dichiara di essere legato sentimentalmente a scrittori direttamente
collegati a tale corrente filosofica, come Sartre e Camus,
I
think maybe in some interview years before, I said that Albert Camus
and Jean-Paul Sartre were at least philosophical influences. I think the
first existential movie I'm going to make is the next one, because it's
really existential in the classic sense of the meaning of the
philosophical term. I think the others are maybe existential in the way
that any movie is existential. Any story of a group of characters who
have to make decisions can be classified as existential, but I don't
think the decisions in those particular movies are necessarily
conforming to Sartre's philosophy.1
Camus
è considerato un autore legato all'esistenzialismo, ma non per questo
un filosofo, mentre Sartre, sebbene inscritto in tale cerchia, riesce a
incarnare i propri pensieri filosofici all'interno di alcuni suoi
romanzi. Scrittori, quindi, piuttosto che puri pensatori fanno parte
degli interessi di Hellman: un esistenzialismo fatto di ricerca della
materia “uomo”, per ciò che concerne la vita dell'essere umano, per la
quotidianità dei gesti e il viaggio che egli sceglie di percorrere si
trovano, probabilmente, alla base delle scelte registiche di questo
autore cinematografico.
Monte
Hellman prima di divenire regista cinematografico per un periodo della
sua vita si è dedicato al teatro. Una delle opere che, in questo
periodo, ha trattato e a cui si è legato particolarmente è Aspettando Godot di Beckett:
[...]
Una grande opera teatrale, forse la più grande del Ventesimo secolo.
Tratta problemi profondi senza risolverli, quelli della vita e della
morte, della condizione umana. È un'opera che mi commuove e mi
appassiona, e l'unica, tra quelle a cui ho lavorato,che ispiri sempre
nuove idee.2
In
un certo senso queste parole potrebbero venire direttamente applicate
ai suoi stessi film; ciò che mostra Hellman nel suo cinema, infatti, è
privo di risoluzione, sospeso assieme alla resa dei finali: l'unica
certezza è che il tempo continui a scorrere e che ciò che abbiamo visto
continui a scorrere nella nostra mente dopo essere bruciato davanti ai
nostri occhi.
Two-Lane Blacktop
Aspettando Godot
di Beckett, infatti, ha una trama minimale in cui i dialoghi risultano
apparentemente senza senso: due personaggi che attendono, appunto,
l'arrivo di Godot il quale non si presenterà mai. Il senso
dell'esistenza si perde poiché Godot diviene l'incarnazione di un Dio
che non esiste ma che, allo stesso tempo, si attende: una meta che si
perde attraverso lo scorrere delle lancette del tempo come accade in Two-Lane Blacktop.
In
questo caso, però, il protagonista non è più una divinità assente
oppure l'attesa di questa ma,piuttosto, la perdita di un senso di
ricerca: i personaggi si prefiggono una meta, una sorta di gara (chi
raggiungerà con la propria auto, per primo, Washington vincerà il mezzo
di trasporto dell'altro) ma essa si dilegua nel continuum della trama,
sfumando e lasciandosi dimenticare dagli stessi. Non c'è lotta ma solo
rassegnazione. Un film dedicato alla vita interiore piuttosto che a
quella esteriore3
che, però, la vela attraverso i silenzi o le parole logorroiche del
personaggio interpretato da Warren Oates. I discorsi che si dipanano
lungo l'opera sembrano conversazioni quotidiane: le stesse che chiunque
passi il tempo a viaggiare in auto potrebbe fare.
Il guidatore (James Taylor) e ilmeccanico (Dennis Wilson) viaggiano insieme, entrambi di poche parole e concentrati sui motori, unica tipologia di discorso su cui convergono, sono dei personaggi semplici e silenziosi che seguono la strada davanti a loro, accettano supini ogni tipo di deviazione per poi risalire in macchina di nuovo assieme.
Il guidatore (James Taylor) e ilmeccanico (Dennis Wilson) viaggiano insieme, entrambi di poche parole e concentrati sui motori, unica tipologia di discorso su cui convergono, sono dei personaggi semplici e silenziosi che seguono la strada davanti a loro, accettano supini ogni tipo di deviazione per poi risalire in macchina di nuovo assieme.
Mentre
aspettano in un'area di servizio, guidatore e ragazza (Laurie Bird)
hanno un veloce scambio di opinioni che richiama un'idea sul senso della
vita ed allo stesso tempo una mancanza di certezza nell'ammissione che
la condizione umana sia migliore di quella degli insetti.
Guidatore: “Hai visto quanti insetti?”
Ragazza: “Sì”
Guidatore:
“Ci hai mai pensato, tu, a quanto sono curiosi? Escono dalla terra solo
ogni sette anni; e sai cosa vengono a fare ogni sette anni fuori dalla
terra? A cambiar pelle, a metter su delle ali per volare in giro solo
mezza giornata e per crepare; ma prima però riescono a deporre un bel
po' di uova, è così?” La ragazza non aspetta che continui il discorso ed
esordisce:
Ragazza: “Noi uomini ce la caviamo meglio, no?” passano alcuni secondi e poi aggiunge: “Anche senza le ali”
Guidatore: “Si, anche senza le ali” dice senza troppa convinzione ed infine, egli, aggiunge che è ora di andare.
La
ragazza è l'unica persona che si ribella a questo tipo di visione: ne
sfugge, in un certo senso, il momento in cui deciderà di cambiare
“tassista”.
La
giovane entra nell'auto dei due e, quindi, nella loro vita, in punta di
piedi senza nemmeno sapere dove i ragazzi siano diretti ma a lei “va
bene, non c'è mai stata all'est”. Ad un certo punto sparisce, in
compagnia di gto,
il guidatore decide di seguirli per convincerla ad andare con lui ma il
momento in cui si rende conto che, oramai, l'ha persa a causa della
decisione della ragazza di cambiare strada ed andarsene, assieme ad un
motociclista, lui non la ferma in accordo con l'idea di Monte Hellman
per la quale:
Quando
l'amore finisce non c'è rabbia, c'è indifferenza. È quando non ci sono
emozioni che non c'è più speranza. Altrimenti non è ancora finita...4
Lo
stesso film, di conseguenza, non potrebbe avere una fine nel caso in
cui il personaggio di James Taylor decidesse di inseguire la ragazza,
considerando il fatto che lo stesso regista individua tra le tematiche
principali del proprio film l'amore.
Quando lei decide di andarsene il guidatore, sebbene innamorato di lei, non fa nulla per fermarla.
I personaggi di
Monte Hellman si lasciano trascinare da un destino, dalle situazioni,
che non sono in grado di controllare ed allo stesso tempo non sono
interessati a cambiare. Divengono protagonisti degli eventi che li
circondano facendosi toccare da questi e seguendone il flusso, incapaci
di ribellarsi. È esattamente questo l'abisso, e allo stesso tempo la
connessione, che intercorre tra le opere di questo regista e gli autori
esistenzialisti citati inizialmente.
L'Esistenzialismo, infatti, sebbene si concentri sull'inutilità e sull'impossibilità dell'uomo ad affrontare gli eventi, poiché in balia del fato, va in cerca di una soluzione che redima la passività di questo tipo di esistenza. Hellman sebbene sembri condividere l'idea fondamentale di questa corrente filosofica sembra non interessato alla fuga da tale tipo di passività poc'anzi citato.
L'Esistenzialismo, infatti, sebbene si concentri sull'inutilità e sull'impossibilità dell'uomo ad affrontare gli eventi, poiché in balia del fato, va in cerca di una soluzione che redima la passività di questo tipo di esistenza. Hellman sebbene sembri condividere l'idea fondamentale di questa corrente filosofica sembra non interessato alla fuga da tale tipo di passività poc'anzi citato.
Sartre, per esempio,
concepisce l'essere umano come in balia degli eventi ma allo stesso
tempo bisognoso di combattere contro di essi, avere una qualsiasi
reazione, provare dei sentimenti, anche violenti, dimostrandoli ed
affrontandoli: è questo che rende gli uomini umani.
Tragici, erano; no, nemmeno: storici; nemmeno, siamo istrioni, non valiamo una lacrima; predestinati:
no, il mondo è un caso. Ridevano, si appoggiavano ai muri dell'Assurdo e
del Destino, che li ributtavano indietro. Ridevano per punirsi, per
purificarsi, per vendicarsi: inumani e troppo umani, di là e di qua
della disperazione: uomini.5
Una triste ironia si
respira leggendo le pagine sartriane de “Il Muro”. Il finale del primo
racconto deride beffardamente il protagonista che, proprio grazie al
destino, sicuro d'esser condannato a morte certa ne viene, invece,
risparmiato: interrogato su dove possa trovarsi il suo amico, ricercato,
risponde che egli si trova nel cimitero ed aggiunge:
Era
per far loro uno scherzo. Volevo vederli alzarsi, affibbiarsi i
cinturoni e mettersi a dare ordini con aria affaccendata […] Di tanto in
tanto sorridevo perché pensavo alla faccia che avrebbero fatta. […]
Tutto ciò era di una comicità irresistibile.6
Questa menzogna,
però, si rivela reale: l'uomo che la polizia vuole incastrare si trova
realmente nascosto nel cimitero e il protagonista viene, così, graziato.
Un'azione che,
quindi, non viene sospesa: le opere di Sartre vogliono dimostrare la
nostra umanità e la condanna a cui ci predestina l'«Assurdità» della vita reale. Monte Hellman, invece, preferisce osservare il quotidiano.
Il regista, infatti,
predilige osservare i piccoli gesti quotidiani nella loro essenza;
parlando durante un'intervista del proprio lavoro in quanto opera
altamente realista ed allo stesso tempo astratta il regista, mettendo a
confronto la propria esperienza teatrale con quella cinematografica,
sottolinea:
[...]Quando diressi La voce della tortora
avevamo un salone, una camera ed una cucina. Era divertente far
scorrere l'acqua dei rubinetti, alimentare la stufa a legna e friggere
le uova sul palcoscenico.
A teatro è più insolito che al cinema, soprattutto oggi, dato che si
gira molto in luoghi reali. Ma è vero che mi piacciono i dettagli
insignificanti della vita quotidiana. Mi piacciono le scene in cui la
gente mangia o si lava [...]7.
Questa idea di
esaltazione e focalizzazione dei gesti quotidiani ricorda molto un
regista italiano legato al Neorealismo e che, a sua volta, prima di
dedicarsi al cinema aveva lavorato per il teatro, Luchino Visconti che,
guarda caso, condivide con Hellman anche l'interesse per lo scrittore
russo Anton Cechov. Nella raccolta di scritti di Gerardo Guerrieri, ex
collaboratore di Visconti, infatti si trovano vari appunti in cui viene
sottolineato l'interesse, quasi morboso, che il regista italiano provava
nei confronti della resa realistica delle scene:
Realismo
come allucinazione […] Ogni cosa talmente verosimile che sembri vera,
ma che nello stesso tempo si possa credere in essa come ad
un'apparizione, come un ectoplasma, una seconda vista, oltre le cose
sensibili, quella vista che afferra le essenze.8
Queste poche righe,
sebbene scritte da Visconti riguardo la propria poetica, riescono allo
stesso tempo a rendere l'idea di ciò che anche i film di Monte Hellman
trasmettono allo spettatore: entrambi, infatti, spingono la propria
opera verso un eccedente realismo tale da renderlo inverosimile,
astratto. La differenza tra i due autori, però, si ricollega a ciò che è
stato detto precedentemente anche nei confronti degli esistenzialisti: i
personaggi del regista italiano cercano di combattere contro gli eventi
sebbene il loro destino sia segnato, mostrano la propria rabbia e
disperazione, mentre per quanto riguarda i caratteri che il regista
americano mette in scena non c'è interesse nella ribellione.
Tutto questo, in Monte Hellman, viene sottolineato non solo dalla ripresa di gesti quotidiani ma anche da un altro procedimento legato all'uso dei dialoghi e del montaggio:
Tutto questo, in Monte Hellman, viene sottolineato non solo dalla ripresa di gesti quotidiani ma anche da un altro procedimento legato all'uso dei dialoghi e del montaggio:
Mi piacciono i dialoghi funzionali e le storie raccontate il più possibile al di fuori dei dialoghi. E in Strada a doppia corsia
la storia è raccontata ancor meno attraverso le parole di quanto non
accadesse nei western. In quel film il dialogo è davvero quotidiano e
non ha granché a che fare con la trama stessa.9
The Shooting e Ride in the Whirlwind
Probabilmente è lo stesso soggetto di Two-Lane Blacktop
ed il luogo in cui si svolgono i fatti, la strada, ad aiutare la
rarefazione dei dialoghi indirizzandoli verso un'alienazione nei
confronti della trama: per quanto riguarda i western, infatti, si
rivelerebbe maggiormente difficile giustificare l'inizio di un'azione o
comunque l'interazione tra i personaggi escludendo completamente la
possibilità di raccontare alcune parti delle storie. Allo stesso tempo
il montaggio e la scelta stessa dei luoghi di ripresa vanno a sommarsi
con l'idea, già precedentemente accennata riguardo i dialoghi, di un
ciclico ritorno del medesimo.
Prendendo, per esempio, The Shooting non era possibile iniziare il viaggio e la “caccia all'uomo” escludendo completamente le spiegazioni incomplete della straniera, che spiegano ciò che è accaduto nelle scene precedenti, riguardo alla motivazione per cui si trova in quel posto senza il suo cavallo. Il film trasmette allo spettatore la stessa idea di progressione statica (o un ossimoro), un congelamento del tempo nella gratuità dei dialoghi presenti che ostacolano la tensione narrativa.
In aggiunta all'inibizione della diegesi narrativa, per esempio, nel film appena citato i personaggi indugiano in conversazioni disquisendo sulla semantica dei nomi propri, quasi spersonalizzati, privi di una propria identità poiché privati del proprio nome. Questa caratteristica si ritrova lungo tutta la filmografia di Monte Hellman in cui sono offerte allo spettatore “presenze” e non personaggi, come se la storia si sviluppasse su un proprio binario senza l'intervento attivodell'attore. È una contingenza fine a se stessa che fa percepire l'insostanzialità delle vicende.
Un'altra peculiarità dello stile registico di Hellman è quella di alternare primi e primissimi piani che ricordano le scene chiave del western insieme a riprese di mezzo busto, piani sequenza tagliati obliquamente, durante i quali la parola sfuma, spesso è ripreso il volto di chi ascolta e non di chi parla, come se la comunicazione risultasse aleatoria, non significativa:
Prendendo, per esempio, The Shooting non era possibile iniziare il viaggio e la “caccia all'uomo” escludendo completamente le spiegazioni incomplete della straniera, che spiegano ciò che è accaduto nelle scene precedenti, riguardo alla motivazione per cui si trova in quel posto senza il suo cavallo. Il film trasmette allo spettatore la stessa idea di progressione statica (o un ossimoro), un congelamento del tempo nella gratuità dei dialoghi presenti che ostacolano la tensione narrativa.
In aggiunta all'inibizione della diegesi narrativa, per esempio, nel film appena citato i personaggi indugiano in conversazioni disquisendo sulla semantica dei nomi propri, quasi spersonalizzati, privi di una propria identità poiché privati del proprio nome. Questa caratteristica si ritrova lungo tutta la filmografia di Monte Hellman in cui sono offerte allo spettatore “presenze” e non personaggi, come se la storia si sviluppasse su un proprio binario senza l'intervento attivodell'attore. È una contingenza fine a se stessa che fa percepire l'insostanzialità delle vicende.
Un'altra peculiarità dello stile registico di Hellman è quella di alternare primi e primissimi piani che ricordano le scene chiave del western insieme a riprese di mezzo busto, piani sequenza tagliati obliquamente, durante i quali la parola sfuma, spesso è ripreso il volto di chi ascolta e non di chi parla, come se la comunicazione risultasse aleatoria, non significativa:
Lo
stesso montaggio lento, aritmico asciutto, concorre a determinare una
continua dispersione di senso […]. Non c'è racconto che di un vano
vagabondare, secondo la logica di un “falso movimento”.10
È un esempio di ciò in The Shooting
la scena girata accanto al fiume in cui i personaggi perdono le tracce
che stanno seguendo e sembrano voler intraprendere piste diverse; i
dialoghi sono occasionali, quasi fuori contesto e i movimenti dei
personaggi sembrano essere decisi più dai cavalli che dalla loro
volontà.
Talvolta, il regista sembra affacciarsi concettualmente sulla negazione dello Strutturalismo: al posto di patterns e codici topici si ritrova una casualità disarmante.
Sembrerebbe emergere una riflessione opposta a quella di Umberto Eco quando commenta l'opera di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore; Calvino ci consegna un'opera aperta, in cui l'interpretazione dello spettatore integra ciò che manca, colma le lacune e la mancanza degli sviluppi narrativi. Nel cinema di Hellman sembra mancare la complicità e la collaborazione con lo spettatore, lasciando vacante la responsabilità dell'analisi dei segni poiché il film procede per sovrapposizioni di strati non interconnessi ma quasi dominati da aporie logiche.
Rispetto a Peckinpah e ai suoi western portati al parossismo di violenza e ad artifici tecnici che ne esaltano la tensione narrativa, The Shooting, per esempio, non propone una riflessione profonda sull'uomo e neppure sul significato delle proprie azioni, ma decontrae le scene fino a parodiare, involontariamente, uno dei simboli del cinema western, ovvero l'uso delle armi. In una scena del film di Hellman la protagonista femminile (Millie Perckins) inizia a sparare istericamente con la pistola, senza un motivo particolare, ma arrabbiata con un compagno di viaggio; come se niente fosse ella svuota il caricatore ignara delle conseguenze.
Talvolta, il regista sembra affacciarsi concettualmente sulla negazione dello Strutturalismo: al posto di patterns e codici topici si ritrova una casualità disarmante.
Sembrerebbe emergere una riflessione opposta a quella di Umberto Eco quando commenta l'opera di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore; Calvino ci consegna un'opera aperta, in cui l'interpretazione dello spettatore integra ciò che manca, colma le lacune e la mancanza degli sviluppi narrativi. Nel cinema di Hellman sembra mancare la complicità e la collaborazione con lo spettatore, lasciando vacante la responsabilità dell'analisi dei segni poiché il film procede per sovrapposizioni di strati non interconnessi ma quasi dominati da aporie logiche.
Rispetto a Peckinpah e ai suoi western portati al parossismo di violenza e ad artifici tecnici che ne esaltano la tensione narrativa, The Shooting, per esempio, non propone una riflessione profonda sull'uomo e neppure sul significato delle proprie azioni, ma decontrae le scene fino a parodiare, involontariamente, uno dei simboli del cinema western, ovvero l'uso delle armi. In una scena del film di Hellman la protagonista femminile (Millie Perckins) inizia a sparare istericamente con la pistola, senza un motivo particolare, ma arrabbiata con un compagno di viaggio; come se niente fosse ella svuota il caricatore ignara delle conseguenze.
Nel film Ride in the Whirlwind
(intorno alla mezz'ora) avviene una sparatoria, molto lunga nel tempo,
piuttosto dilatata nella tensione e nel ritmo. Questo è un esempio dello
stile dell'autore che privilegia azioni non sincopate ma rarefatte,
piuttosto lente e, di conseguenza, ripetitive. I personaggi, anche nelle
espressioni e nelle gestualità non sembrano preoccupati ma nemmeno
risoluti e determinati, inframmezzando battute decisamente superflue
durante lo svolgimento di questa scena d'azione. Se messo a confronto
con altri film di Peckinpah quali Straw Dogs e Pat Garret and Billy the Kid
lo stile di Hellman risulta sapido sia di approfondimento psicologico
sia di stimoli allo spettatore, il quale assiste ma non viene sedotto
dalla drammaticità delle immagini. In Ride in the Whirlwind le
fughe e gli inseguimenti risultano spesso inconcludenti, quasi a
simulare l'iterazione di frammenti scomposti, che ciclicamente ritornano
al disordine di partenza. In Peckinpah, Pat Garret quasi si identifica
nell'alter ego del nemico, incanalando la strategia e la tattica
di Billy the Kid, in una reciprocità di scelte risolute che
contrappongono l'esistenza dei due protagonisti. Anche il senso di
sacrificio de The Wild Bunch, in un parossismo di climax di
abnegazione e spirito di squadra, contrasta nettamente con la
disarticolazione e il vuoto di significato delle scelte dei protagonisti
di Hellman, che strisciano, si celano nei cespugli, si abbarbicano
dietro le rocce, sudano e compiono azioni ossessive ma mai eroiche.
Si può dire che nel cinema di Hellman manchi sia il lirismo sia la capacità emotiva di raggiungere uno Spannung.
Si può dire che nel cinema di Hellman manchi sia il lirismo sia la capacità emotiva di raggiungere uno Spannung.
È
vero che, apparentemente, la filmografia di Hellman sembra riassumere
in sé alcune tematiche tipicamente esistenzialiste come
l'incomunicabilità, l'isolamento emotivo dell'uomo, il senso di
inadeguatezza nella vita, l'inautenticità di ogni azione, ma questi
concetti non vengono mai sviluppati o chiariti in fasi successive; è un
cinema che abbozza l'Esistenzialismo, lo evoca ma non lo trasmette allo
spettatore. Così si possono intravedere Beckett, Sartre, Camus, etc. ma
solo come suggestioni non infra-testuali e nemmeno metafilmiche, ma
piuttosto sottintese nella mente di uno spettatore colto che intenda
nobilitare questi film con contenuti più ampi.
La fuga porta in un dovunque
sempre uguale a se stesso […] senza poter controllare gli avvenimenti
che lo coinvolgono, ignorando i nessi che li organizzano in una
circolarità senza senso apparente. Caduta ogni giustificazione teologica
(ideologica, morale, religiosa) non rimane che l'attonita contemplazione dei fatti.11
Nei due finali di The Shooting e Ride in the Whirlwind
vi sono, infatti, due conclusioni che non si possono considerare né una
vera e propria chiusura, né una svolta, in quanto il suicidio in nel
primo e la fuga nelle colline nel secondo non costituiscono
l'esito di una progressione narrativa dotata di un senso, ma sembrano
continuare e protrarre il gioco del nonsense, l'infinita fuga e
una morte quasi scaturita dalla contingenza piuttosto che da una
necessità profonda. È l'uomo che cede alla propria angoscia o sfugge a
se stesso e al conflitto; ma non vi è un vero e proprio antieroe, poiché
non c'è nessuna opposizione a valori persistenti, ma una deriva.
Il
cinema di Monte Hellman, quindi, seppure complesso e variegato, non
propone tematiche definite ed approfondite in modo coerente, ma lascia
allo spettatore la scelta di interpretarlo in modo sempre differente.
Penso, personalmente, che sia come tecnica registica, sia come
concettualità esso, a volte, risulti poco coerente e ripetitivo,
distaccandosi dalla profonda riflessione dell'Esistenzialismo, più
determinato ad evocare un'interiorità umana con le sue particolarità.
1Intervista “Monte Hellman – Two-Lane revisited” di Keith Phipps, 10 novembre 1999
http://www.avclub.com/articles/monte-hellman,13630/
http://www.avclub.com/articles/monte-hellman,13630/
2Intervista
“Non sottolineare l'evidenza” di Michael Ciment pubblicata nella
raccolta a cura di Michele Fadda “American Stranger, il cinema di Monte
Hellman” ed. Cineteca Bologna, 2009
3“I think Two-Lane Blacktop is
neither. It's a film about inner life rather than outer life. But it's
not a film about other films; it's not a pastiche”. Intervista “Monte
Hellman on Corman and Cockfighter” di Nicholas Pasquariello http://www.ejumpcut.org/archive/onlinessays/JC10-11folder/MonteHIntPasquarillo.html
4Intervista “Hellman Rider” di Romuald Karmakar e Ulrich von Berg, traduzione di Davide Ferrario, 22 novembre 1988
5Tratto da “La morte nell'anima” di Jean-Paul Sartre, ed. Oscar Mondadori, Classici Moderni (2003), p. 78
6Tratto da “Il Muro” di Jean-Paul Sartre, ed. Einaudi Tascabili (2003), p. 29
7Intervista
“Non sottolineare l'evidenza” di Michael Ciment pubblicata nella
raccolta a cura di Michele Fadda “American Stranger, il cinema di Monte
Hellman” ed. Cineteca Bologna, 2009
8Tratto da “Il teatro di Visconti, scritti di Gerardo Guerrieri” a cura di Stefano Geraci, ed. Officina, anno 2006
9Intervista
“Non sottolineare l'evidenza” di Michael Ciment pubblicata nella
raccolta a cura di Michele Fadda “American Stranger, il cinema di Monte
Hellman” ed. Cineteca Bologna, 2009
10Articolo “Two-Lane Blacktop: un roadmovie funereo” di Fausto Galosi, in “Cinema e Cinema” n. 21, ottobre-dicembre 1979
11Articolo “I western gemelli” di Paolo Vecchi, in “Cineforum” n. 178, ottobre 1978