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È quasi il 2011 ed in Italia esiste ancora il mito della famiglia: molti hanno cercato di distruggerlo ma esso continua a persistere irridendo i pochi miscredenti che si battono affinché una realtà che non vuole essere accettata venga a galla.
Apro le notizie sul sito www.ansa.it proprio in questo momento, scorro la pagina e leggo: «“Sono riuscito ad uccidere mia figlia?” Arrestato dopo averla accoltellata» pare sia accaduto a causa della relazione che la ragazza aveva intrapreso con un uomo sposato.
Di storie del genere se ne trova almeno una al giorno pubblicata nelle news, spesso nemmeno raccontata al telegiornale, ed ormai nessuno più le ascolta: cadono nel dimenticatoio di un'immagine collettiva nella quale si pensa sia solamente un'eccezione alla regola della buona famiglia borghese.
Ho iniziato a pensare di scrivere un articolo dedicato a questo argomento perché poco tempo fa, parlando con una studentessa universitaria di Scienze della Formazione, si era imbastito un dialogo che tristemente ho lasciato decadere vedendo l'impermeabilità della ragazza alle mie parole: lei sosteneva che la maggior parte di violenze perpetrate a danno dei bambini avvengono per mano di persone estranee, io, al contrario, ho semplicemente ribadito la grossa responsabilità che viene attribuita alle famiglie oppure agli amici, in ogni caso persone vicine e conosciute.
Mi è stato risposto di andare in qualche associazione di recupero dedicata a casi di violenza e che avevo assolutamente torto, così il discorso è decaduto: troppo da spiegare, troppa chiusura da parte del mio interlocutore e mancanza di propensione, da parte mia, a perdere del tempo a mostrare dati e ricerche inerenti la questione.
Basta andare su google e digitare “violenze in famiglia” per trovare per esempio un articolo dedicato alla giornata contro le stesse (istituita il 29 gennaio 2010) in cui viene scritto (cito testualmente):
“Secondo un'indagine dell'Associazione matrimonialisti italiani, il 70% degli stupri avviene tra le mura di casa, e solo il 6% è opera di estranei. Soltanto il 18% delle vittime considera un reato la violenza in famiglia, fisica o psicologica”.
Mettendo da parte la non troppo affidabile valenza delle percentuali a causa di risapute motivazioni (molte violenze non vengono denunciate) è alquanto sconvolgente come sia evidente che le mura di casa risultano le più pericolose ma noi non vogliamo ammetterlo.
Come mai cerchiamo di sotterrare nel nostro inconscio questa verità? La famiglia in Italia, come ho già detto, è intoccabile. Potremmo dare la colpa di tutto questo al perbenismo di un certo tipo di Chiesa e a quanto essa sia radicata nella nostra cultura media ma, al giorno d'oggi, non credo sia una giustificazione sufficiente. Ho il dubbio che il perché di tutto ciò risieda in quel 18% di vittime che non considera questo tipo di violenza un reato: un sottile filo divide la consapevolezza di ciò che accade dal timore di ammettere l'evidenza. Abbiamo tutti paura di pensare che la possibilità di essere feriti sia talmente vicina a noi da poterla toccare: ne siamo talmente attoniti che, spesso, mentiamo essendo più facile incolpare un estraneo che, quindi, non conosciamo per il male che ci circonda.
Come ammettere sia con noi stessi che con gli altri che qualcuno a cui vogliamo bene commette su di noi un certo tipo di violenza? Come smettere di pensare che sia colpa nostra ciò che sta accadendo, che siamo noi a cercare i guai?
Non è di certo facile: la violenza in famiglia è uno degli argomenti più delicati di cui ci si può occupare e tentare di aiutare le vittime lo è ancora di più.
Penso, però, che una possibile soluzione si possa trovare nel cambiamento di atteggiamento che dovremmo avere tutti nei confronti di queste situazioni. Una maggiore sensibilizzazione dell'opinione pubblica ed un tentativo maggiore di far comprendere sia la gravità sia la portata di tali situazioni aiuterebbe anche le vittime a farsi avanti più facilmente ed a lasciarsi aiutare: superato l'ostacolo dell'idea di nucleo famigliare intoccabile e sacro risulterebbe più semplice denunciare violenze sia fisiche che psicologiche oppure notarle più facilmente così da poter aiutare la persona, che magari è nostra amica, a trovare una soluzione o ad ammettere il problema.
Apriamo un po' gli occhi e guardiamoci attorno invece che lamentarci di quanto siamo soli, di quanto la società se ne lavi le mani e incolpare, magari, gente estranea puntando sull'atavica paura de “l'uomo nero” o, per usare altri termini, di ciò che non si conosce.