domenica 7 febbraio 2010

Istantanea di una decomposizione: l'arte di non laurearsi

L’altro giorno a lezione è arrivata una donna di quarant’anni e si è seduta accanto a me, dopo avermi chiesto quattro volte se il posto era libero, ha iniziato a parlarmi dei suoi problemi a trovare lavoro mentre io speravo che il professore arrivasse il prima possibile per salvarmi e cominciare la lezione.


Questa signora mi ha detto di essersi laureata in giurisprudenza e che ora aveva deciso di iscriversi a Filosofia perché qualcuno l’aveva informata della facilità maggiore nel trovare lavoro… con una laurea in Filosofia? Inoltre ha tenuto a sottolineare l’importanza del pezzo di carta comunemente chiamato “laurea” e che, in realtà, nel campo lavorativo non viene nemmeno calcolato se non come handicap: un laureato si paga di più di una persona che non ha studiato e per questo, tendenzialmente, le aziende evitano di assumerli.

Mi dispiace ammetterlo ma quello che ho pensato è stato: “quale persona sana di mente darebbe lavoro ad una piattola del genere?”, probabilmente le hanno consigliato di iscriversi ad un’altra facoltà solo per togliersela dalle scatole.


Qui in Italia tutti ci lamentiamo un po’ tutti della mancanza di proposte di lavoro a nostra disposizione poi, però, parlando qua e là scopriamo che ci sono altre possibilità che si tendono a scartare.


Le persone vogliono un lavoro il più vicino possibile a casa, con poche ore lavorative, ben retribuito, possibilmente dietro una scrivania, in cui non mettersi realmente in gioco in prima persona (evitare le responsabilità è una qualità prettamente italiana) e dove non ci si sporchi le mani (infatti, attualmente pochi sono gli operai di origine italiana giacché tendiamo a disprezzare questo tipo di professione, forse perché ci hanno insegnato a credere che studiare e inserirsi in un certo tipo di ambiente ci renda migliori e ci faccia vivere meglio con noi stessi, ma è davvero così?), per cui in questo momento stiamo cancellando la maggior parte d’impieghi compresi quelli all’estero proprio perché non siamo disposti a ricominciare da capo una vita o ad imparare una nuova lingua (l’inglese è ostrogoto per la maggior parte di noi).


Ci lamentiamo che gli insegnanti vanno in pensione ad un’età troppo avanzata e, di conseguenza, tolgano lavoro ai giovani: personalmente nella mia facoltà i professori della “vecchia scuola” si stanno estinguendo, ahimé, lasciando posto a giovani, incapaci, a volte, di avere un rapporto studente-insegnante equilibrato, dove l’errore più grande da entrambe le parti è prendersi troppo poco sul serio e prendendo tutto con superficialità e, quindi, mancanza di sensibilità.


Attualmente, quindi, non penso sia il lavoro in sé a mancare (sebbene in Italia effettivamente tutti sono reticenti a prendere nuovi impiegati, gli organi statali per mancanza di fondi e i privati perché già al completo per quanto riguarda il proprio personale oppure perché la meritocrazia italiana, cioè l’essere figlio di tal dei tali, ha premiato quello sbagliato) quanto il bisogno di chi lo cerca di attivarsi e mettersi in gioco, dovendo a volte fare dei sacrifici e decidere di fare una gavetta che tutti prima di noi hanno affrontato, spostandosi da casa e, magari, a volte cominciare proprio come operaio se abbiamo realmente voglia di mantenerci da soli.

2 commenti:

  1. #1Splinder: 19 Febbraio 2010 - 01:57

    un'analisi un pò troppo 'leggera' a mio avviso.
    nessuna critica, solo credo ci sia un pò troppo qualunquismo in giro.

    scusa l'intrusione.

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    1. #2Splinder: 19 Febbraio 2010 - 22:15

      Grazie di aver lasciato il commento.
      Il mio tono e la mia generalizzazione era voluti, poiché per suscitare un dibattito spesso basta una scintilla senza pompose riflessioni o teoremi partigiani.

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